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 2012  gennaio 30 Lunedì calendario

Stop al credito, l’incubo dell’Italia – Le banche non godono di grande credito nell’opinione pubblica

Stop al credito, l’incubo dell’Italia – Le banche non godono di grande credito nell’opinione pubblica. E ancora più critica è la posizione degli imprenditori che, in una fase assai difficoltosa e incerta dell’economia, hanno levato a più riprese la loro voce a denunciare un’eccessiva selettività nell’erogazione del credito. Soprattutto dopo che, nonostante l’iniezione di liquidità offerta loro dalla Banca centrale europea, pare che quelle risorse siano andate solo in parte limitata a finanziare le attività del sistema produttivo, mentre quella più consistente sia stata diretta a consolidare la propria struttura e verso attività considerate più remunerative economicamente (investimenti finanziari). Le schermaglie non mancano da una parte e dall’altra: i banchieri prodighi a illustrare come ciò non sia vero e, dati alla mano, a dimostrare i flussi degli impieghi; gli imprenditori pronti a ribattere con casi concreti di una progressiva riduzione del credito che soffoca le potenzialità delle imprese. Non siamo ancora arrivati al clima del 2009, quando si avvertiva l’arrivo del “credit crunch” (blocco pressoché completo dell’attività creditizia, ndr) ma i rapporti evidenziano una progressiva tensione. Punto di frizione A indicare che ci stiamo avvicinando pericolosamente a un punto di frizione fra banche e imprese, al di là del moltiplicarsi delle denunce delle categoria produttive, sono due segnali recenti. Il primo è l’intervento, nei giorni scorsi, del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, sull’attenzione da porre su un possibile “credit crunch”. Il secondo è il road show che l’Associazione bancaria italiana ha avviato a Vicenza probabilmente come strategia per ripristinare un colloquio con gli imprenditori. Come spesso accade in simili situazioni, ciascuno ha molte e ragionevoli giustificazioni da portare a sostegno della propria posizione. Una ricerca dedicata al rapporto banche-imprese nel Nord Est, curata dall’economista Gianluca Toschi (Fondazione Nord Est-Friuladria Crédit Agricole), comparata con quanto era avvenuto nel periodo di avvio della crisi (2009) prova a gettare un po’ di luce sulle dinamiche in corso. Vediamone gli elementi essenziali: 1. C’è un problema crescente di liquidità. Aumenta significativamente la quota di quante hanno chiesto negli ultimi 3 mesi ulteriori affidamenti alle banche: si passa dal 35,3% del 2009, al 47,8% di novembre 2011. 2. La selettività delle banche nella concessione del credito più che nella fase d’ingresso (aumenta dall’8,8% al 14,1% il numero d’imprese cui non è stato concesso), si riflette sui costi più elevati da sostenere: se nel 2009 una maggiore onerosità era stata denunciata dal 16,9% delle imprese, oggi sale al 64,6%. 3. Il motivo per cui le imprese chiedono nuovi affidamenti è sempre legato a esigenze di cassa (67,1% nel 2009, 67,2% nel 2011), ma cresce la quota di quante ne fanno richiesta per realizzare investimenti (52,1% nel 2009, 61,5% nel 2011). 4. La maggiore onerosità per le banche, si scarica sui costi verso le imprese: il 63,8% denuncia un aumento dei tassi applicati (era il 14,2% nel 2009) e al 19,7% è stato richiesto un rientro degli affidamenti (era il 10,0% nel 2009). Sulla scorta di questi primi esiti, si può comprendere come il livello di sofferenza da parte del sistema produttivo stia raggiungendo soglie di forte preoccupazione. Non v’è dubbio che ragioni corrette alberghino da entrambe le parti. Le banche rivendicano il loro statuto d’impresa e chiedono alle imprese una maggiore trasparenza e correttezza nella gestione finanziaria. Le imprese, a loro volta, rivendicano correttamente una valutazione meno burocratica e più prossima alle reali vicende delle imprese. Rischio di soffocamento Perché il rischio è di soffocare anche quelle meritevoli di credito. C’è un’operazione di reciproca trasparenza che dovrebbe essere realizzata, come ha opportunamente sottolineato Dario Di Vico sul Corriere della Sera. Ma dovrebbe essere avviata anche una ricerca di maggiore approssimazione alla realtà delle imprese negli affidamenti del credito da parte delle banche, superando l’ottica del bilancio della singola azienda. Infatti, una parte consistente delle imprese lavora inserita in una fitta rete di relazioni. Una media impresa del Nord Italia (50-250 dipendenti) ha rapporti produttivi e commerciali mediamente con 240 altre piccole imprese. Intrecci economici Generalmente queste medie imprese sono esposte ai mercati internazionali e con loro una quota consistente dei loro fornitori più piccoli. Quando una piccola impresa chiede un affidamento sarebbe necessario comprendere anche le dinamiche economiche della filiera in cui è inserita per valutarne effettivamente il merito di credito; sapere gli andamenti economici della committente principale, le sue prospettive e così via. Insomma, riuscire a redigere una sorta di bilancio consolidato della filiera. È un’operazione complicata, ma aiuterebbe contemporaneamente le imprese e le banche in uno sforzo di migliore conoscenza delle reciproche dinamiche. Daniele Marini, Università di Padova