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 2012  gennaio 30 Lunedì calendario

IL CORAGGIO DELLA SOLITUDINE


Bisognerebbe avere il coraggio di dire, soprattutto in un momento così, che fu solo per colpa di uno di quei non rari cortocircuiti della politica, di quelli che arrivano improvvisi e cambiano in un istante il corso delle cose e i progetti in divenire.
Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale, infatti, fu il frutto di un maledetto imprevisto. E nessuno dei gran capi allora in auge (da Forlani ad Andreotti, fino a Craxi e a De Mita) poteva immaginare, in quella drammatica domenica di fine maggio, di star scegliendo come presidente della Repubblica l’uomo che avrebbe non solo accompagnato ma addirittura accelerato il crollo della Prima Repubblica e, dunque, la loro stessa fine.

Il giorno prima - sabato 23 maggio 1992 - la mafia aveva fatto strage a Capaci, e lo spettacolo di un Parlamento paralizzato da settimane e incapace di eleggere il nuovo Capo dello Stato, non era più tollerabile. Oscar Luigi Scalfaro fu scelto (ed eletto quando si era ormai al sedicesimo scrutinio) solo perchè la rabbia montava e bisognava fare in fretta: Andreotti e Forlani continuavano a ostacolarsi a vicenda, Mani pulite era avviata, il discredito cominciava a circondare l’intera classe politica e serviva una persona perbene e insospettabile. Fu solo per questo, in fondo, che toccò a quell’innocuo ma stimato piemontese. Ma non fu una scelta libera: perchè mai e poi mai la Dc avrebbe destinato a lui - uomo senza potere e senza corrente - la più alta carica della Repubblica.

La distanza dal suo partito, l’eccentricità della sua elezione e perfino il suo incerto e accidentato cursus politico hanno però paradossalmente fatto di Oscar Luigi Scalfaro un presidente libero da condizionamenti e dunque volendo - forte, anzi fortissimo. Tanto forte da poter segnare fin dall’avvio il suo settennato con una scelta che nessun presidente eletto sulla base di patti politici più o meno segreti e più o meno vincolanti avrebbe mai voluto o potuto compiere: e cioè non affidare a Bettino Craxi, nella primavera del 1992, il mandato di formare il nuovo governo.

Mani Pulite era ufficialmente iniziata da tre mesi, con l’arresto a Milano di Mario Chiesa (17 febbraio ‘92): e anche se il primo avviso di garanzia avrebbe raggiunto Craxi solo nel dicembre successivo, il Psi e il suo leader erano già nella bufera. E se è vero che riscrivere la storia è esercizio inutile, occorre sempre domandarsi cosa sarebbe stato di quell’inchiesta con Bettino Craxi a Palazzo Chigi. Quell’indagine, con la caduta uno dopo l’altro di tutti i leader dell’allora pentapartito, segnò l’inizio della fine della Prima Repubblica: una fine alla quale Oscar Luigi Scalfaro - lo si giudichi poi come si vuole - non può certo esser considerato estraneo.

Lo si può chiamare, se si vuole, il coraggio della solitudine: un coraggio che - in particolare nell’amministrazione della cosa pubblica - solitamente nasce dal non aver nulla da perdere o dal non aver niente da restituire. Per un politico chiamato ad esercitare importanti responsabilità, è uno “stato di grazia” non frequentissimo da riscontrare. Capita, ma solo a volte. Qualche esempio è possibile farlo: e forse - e fatte tutte le differenze ce ne è oggi uno sotto gli occhi di tutti.

Sono tante, infatti, le suggestioni che portano ad avvicinare l’elezione e la figura di Giorgio Napolitano a quella di Oscar Luigi Scalfaro. Assai simile, almeno dagli anni ‘80 in poi, lo stato di quasi isolamento vissuto dai due presidenti all’interno dei rispettivi partiti (che certo non pensavano a loro come candidati al Quirinale): il primo accusato - nella stagione dell’alternativa e della questione morale - di un di più di riformismo (fin quasi al reato di “tradimento” per l’eccessiva vicinanza al Psi); il secondo tacciato, al tempo della degenerazione del pentapartito, di un impeto etico sopra le righe (moralismo populista era l’accusa) a fronte delle Milano da bere e del debito pubblico da gonfiare.

Sia Scalfaro che Napolitano hanno dovuto fare i conti - anche se per ragioni opposte - con predecessori scomodi: all’uno è toccato restituire credibilità edequilibrio al ruolo, dopo il settennato di Cossiga; all’altro è venuto in sorte succedere ad un Capo dello Stato amato e popolare, Ciampi. Entrambi, infine, sono stati eletti con consensi assai meno ampi rispetto ad altri presidenti. Ma tutti e due - e questa in fondo è stata ed è la loro forza - sono arrivati al Quirinale senza debiti politici da pagare e senza vincoli da rispettare. Il coraggio della solitudine (politica) Oscar Luigi Scalfaro lo esercitò nella primavera del ‘92, non facendo nulla per fermare il crollo della Prima Repubblica: a Giorgio Napolitano è toccato agire nell’autunno di vent’anni dopo, affidando il governo a Mario Monti e avviando la fine anche della Seconda...

Oggi, come largamente ieri per Scalfaro, la cronaca applaude e approva. Ma toccherà poi alla storia, tra qualche tempo, incaricarsi di render nota la sua sentenza...