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 2012  gennaio 30 Lunedì calendario

2 articoli – CDP. I MOLTI MESTIERI DI GORNO TEMPINI - Le ultime due mosse, il 9 gennaio e il 21 dicembre, sono state sull’energia alternativa: l’acquisto di quote, attraverso il fondo Marguerite, di un impianto fotovoltaico in Francia, Tour Rosières, il più grande d’Europa, 522 ettari vicino a Nancy; e di un’altro impianto, eolico, al largo del Belgio, C-Power’s, nel Mare del Nord

2 articoli – CDP. I MOLTI MESTIERI DI GORNO TEMPINI - Le ultime due mosse, il 9 gennaio e il 21 dicembre, sono state sull’energia alternativa: l’acquisto di quote, attraverso il fondo Marguerite, di un impianto fotovoltaico in Francia, Tour Rosières, il più grande d’Europa, 522 ettari vicino a Nancy; e di un’altro impianto, eolico, al largo del Belgio, C-Power’s, nel Mare del Nord. Entrambe sono state condotte al fianco dei francesi di Edf, gli stessi che hanno appena rilevato Edison. Un’altra operazione è stata, l’estate scorsa, il finanziamento della Carnival, la compagnia di Costa Crociere: 830 milioni per l’acquisto di due navi da Fincantieri, con la garanzia di Sace, attraverso il veicolo Export Banca. Non sono gli unici interventi eterogenei, rispetto al tradizionale core business dei finanziamenti agli enti locali (ma ora sempre più anche di infrastrutture e sostegno alle imprese), della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp). La società per azioni pubblico-privata guidata da Giovanni Gorno Tempini e presieduta da Franco Bassanini, che potrebbe avere un ruolo centrale nel piano di riduzione del debito pubblico allo studio del governo Monti (vedi articolo nell’altra pagina), sta diventando il perno e l’elemento pervasivo di gran parte dell’economia italiana. Con la raccolta dal risparmio postale — cioè con i soldi dei cittadini versati sui libretti o investiti nei buoni fruttiferi — ormai interviene ovunque, dalla banda larga agli ospedali. Il suo braccio operativo sono i fondi d’investimento e private equity, a cui partecipa, e che negli ultimi quattro anni si sono moltiplicati. Gli strumenti La Cassa ha chiuso il bilancio 2011, la settimana scorsa, con 16,5 miliardi di risorse mobilitate — il 41% in più rispetto al 2010 — e ormai lavora su quattro fronti: sostegno alle imprese, infrastrutture, edilizia agevolata (il social housing), enti locali. È socia ormai di nove fondi (vedi grafico): a volte, sui dossier internazionali, al fianco delle omologhe Kfw (tedesca) e Caisse des Dépôts (francese), alle quali si allinea per strategia. E fa crediti alle aziende che vogliono internazionalizzarsi, attraverso Export Banca con Sace. In più dà soldi alle imprese, non solo attraverso strumenti come il Fondo italiano d’investimenti (per le Pmi) o il neonato Fondo strategico (per le grandi aziende), ma anche direttamente, attraverso il canale bancario: in meno di due anni ha destinato18 miliardi ai prestiti agevolati alle piccole e medie imprese e già 40 mila aziende ne hanno fatto uso. La strategia La linea è chiara: sostenere l’economia, nazionale ma anche europea o dei Paesi del Mediterraneo. E sopperire, nel caso, all’assenza delle banche nel credito all’industria. Con il fondo F2i, per esempio, quello per le infrastrutture guidato da Vito Gamberale della cui sgr è socia al 15,99%% a fianco di banche, assicurazioni, fondazioni e casse previdenziali, Cdp è entrata l’anno scorso in Metroweb che ha l’obiettivo di portare la banda larga in tutta Italia. Con il fondo Ppp Italia destinato a «scuole, ospedali, ambiente, utility, energie rinnovabili», di cui ha il 14,6%, ha finanziato lo sporting Village di Novara, complesso sportivo polivalente («Investimento più debole rispetto alle attese, dice la semestrale del fondo), e anche il nuovo ospedale Sant’Anna di Como. Sempre con F2i ha investito nella Sea di Linate e Malpensa, salvando il Comune di Milano, e ha rilevato da Baa Ferrovial il 65% di Gesac, la concessionaria dell’aeroporto di Napoli. Inoltre ha stanziato 25 milioni per le case economiche a Parma con il fondo Investimenti per l’abitare; progetta strade in Egitto con il fondo Inframed, di cui Cdp ha il 38,9% a fianco di Bei e delle Casse di Francia, Marocco ed Egitto; attraverso il Fondo italiano d’investimenti, che partecipa al 12,5%, ha appena preso quote nella Rigoni di Asiago, marmellate, e nella Zeis, scarpe Bikkembergs. E con il Fondo strategico, di cui ha il 90%, studia l’acquisizione di una quota di Avio. Una delle ultime attività è poi la consulenza alle regioni (indebitate) sulla valorizzazione (cioè la possibile vendita) del loro patrimonio immobiliare: Cdp ha appena firmato un contratto da 40 mila euro con la Regione Lazio. In più ci sono da gestire le partecipazioni dirette: il 26,4% dell’Eni, il 29,9% di Terna, l’89% del gasdotto austriaco Tag. E continua a erogare mutui gli enti locali, ora anche online. E finanzia direttamente, su strade e autostrade, privati come i Benetton o i Gavio. Troppo? Certo è molto, anche per una struttura di 400 persone. Potrebbero nascere criticità sulle competenze? Forse, ma per ora si procede così: la macchina è partita. Nata per erogare mutui ai Comuni, convertita al private equity nel 2007 con il fondo F2i presentato da Tommaso Padoa-Schioppa, la Cassa ha svoltato nel 2009 con Giulio Tremonti, mettendo a statuto la possibilità di usare il risparmio postale anche per investire nel privato (ma a basso rischio e d’interesse generale). Controllata al 70% dal Tesoro e per il resto da 66 fondazioni bancarie, è ora l’esempio italiano del nuovo fenomeno del «capitalismo di Stato», segnalato dall’Economist. In pochi anni è diventata una holding, che è diventata una banca. Certo, non tutto va alla perfezione. Il fondo Inframed, per esempio, destinato a finanziare strade e reti nel Mediterraneo e con Gianni De Michelis nel comitato strategico, dal 2010 non ha fatto ancora un investimento («Vista anche la situazione geopolitica delle regioni coinvolte», spiega Cdp). E il fondo Marguerite, per le energie rinnovabili in Europa, doveva chiudere la raccolta a 1,5 miliardi nel 2011: ha dovuto spostare la scadenza a quest’anno. Ma la nuova Cassa di Stato è ormai una corazzata pronta a tutto. Tranne una cosa, forse: l’aiuto alle banche, considerato pericoloso e «snaturante». E poi sarebbe come se vi entrasse il Tesoro, si dice in via Goito: «Un segnale di debolezza del sistema». L’interesse agli istituti di credito era del resto stato già escluso due mesi fa dallo stesso Bassanini al Corriere Economia, perché troppo rischioso. Comunque, alla Cassa c’è già abbastanza da fare. Alessandra Puato CRISI. IL PIANO TAGLIA DEBITO ALLA PROVA DI EUROSTAT - La Cassa depositi e prestiti in sigla Cdp, il debito pubblico, l’Italia. Funziona il piano taglia debiti a opera della Cdp? Non funziona? Parafrasando l’incipit di Anna Karenina, potremmo dire che ogni Paese è infelice a modo suo. Quando, nell’estate scorsa, la Banca centrale europea scrisse due lettere di aspri rimproveri e dure esortazioni ai governi di Roma e Madrid, in Italia i giornali ne diedero ampia notizia, mentre in Spagna sorvolarono: non per difendere il governo Zapatero, cui non risparmiarono altre critiche, ma per una forma di patriottismo. Le norme comunitarie Nelle anticipazioni del Corriere, il piano della Cdp, tuttora in fase di approfondimento, prevede l’acquisizione di partecipazioni pubbliche per un ammontare iniziale di circa 50 miliardi. La Cdp è considerata da Eurostat, l’istituto di statistica dell’Unione Europea, fuori dal perimetro della pubblica amministrazione. I circa 220 miliardi di obbligazioni Cdp collocate dalle Poste con garanzia dello Stato (i Buoni fruttiferi postali) non concorrono a formare il debito pubblico. Nel quale, invece, vengono ricompresi gran parte degli impieghi. Rientrano infatti nel debito pubblico i 90 miliardi di mutui, contratti dai comuni con la Cdp, e i 130 miliardi fondi, che il Tesoro preleva dal conto di tesoreria sul quale la stessa Cdp lascia buona parte della sua raccolta via Poste. Grazie a questo status, gli incassi che lo Stato realizza cedendo suoi cespiti alla Cdp, possono essere detratti dal debito pubblico. Piaccia o non piaccia, non si tratta di una concessione all’Italia, ma di un’opportunità regolata dal principio contabile europeo Esa95, già ampiamente utilizzato dalla KfW e dalla Caisse des Dépôts, omologhe tedesca e francese della Cdp. L’operazione da 50 miliardi, di cui si parla, non è enorme, ma è realistica. Con il tempo, la cifra potrebbe salire ove si decidesse di valorizzate l’Anas e le Fs, il cui rendimento non può, al momento, essere adeguato al netto patrimoniale. Ma parlare di dismissioni per 4-500 miliardi è illusorio. Si tratterebbe per lo più di case e infrastrutture tutte da valorizzare in un mercato già ingessato di suo. Meglio ragionare sulle quattro questioni sollevate dal piano oggi all’ordine del giorno. Le partite aperte La prima questione è politica. La cessione di attività dal Tesoro alla Cdp, obiettano i liberisti duri e puri, equivale a passare il portafoglio da una tasca all’altra dei pantaloni. Bisognerebbe invece vendere a terzi. Ma l’idea di privatizzare le maggiori imprese statali e parastatali non rientra nei disegni del governo. E visti i corsi azionari, non c’è da stupirsene. La premessa critica dei liberisti, invece, porta a una seconda, più intrigante questione: approverà Eurostat quel piano taglia debito? Difficile dirlo, perché Eurostat non dà mai troppe notizie sul perché ammette o non ammette le deduzioni di taluni introiti dal debito pubblico. Certo è che nel 2003 Eurostat approvò gli effetti sul debito pubblico del conferimento della prima tranche di partecipazioni statali. E nel 2012? Di sicuro conterà l’articolazione formale della manovra. Ma anche la sostanza. Il piano ha un’evidente valenza industriale. La Cdp può essere, in stretto collegamento con le Poste, uno strumento di raccolta del risparmio per conto dello Stato a tassi più bassi dei Btp perché buoni e libretti sono rimborsabili a vista. Oppure — ed è quel che sta accadendo — può diventare un gruppo complesso: una quasi banca che presta a enti locali e imprese sia direttamente sia attraverso le banche con il fondo di garanzia contro il credit crunch; un’assicurazione per il credito all’export grazie alla Sace; una holding di partecipazioni (Eni e il fondo F2i, cui partecipa con le grandi banche e le fondazioni); una holding delle infrastrutture (Terna, il gasdotto Tag e altre); un fondo strategico per fare investment banking; un centro di valorizzazione degli immobili pubblici oggi dispersi (Fintecna). Nuovi ruoli Un tale soggetto non è un mero agente del governo, ma, nell’ambito della politica industriale, opera al servizio del Paese come fanno KfW e Caisse des Dépôts. Una simile impostazione non è liberista? Amen. La crisi ha sepolto le ortodossie, compresa quella liberista. Le risposte vere, da dare ai fini dell’Esa95, riguarderanno la quota di ricavi che viene dal mercato e la sostenibilità del nuovo insieme. Al momento si può ipotizzare che la Cdp richiami una parte della sua liquidità (i 50 miliardi di cui sopra) dal conto di tesoreria per pagare le partecipazioni. Il debito pubblico, che quel conto comprende, calerebbe così di 50 miliardi. Ma il Tesoro di quei quattrini ha bisogno, e dunque dovrebbe emettere nuovi Btp per turare la falla. E tuttavia non lo farebbe perché incasserebbe la stessa cifra dalla Cdp. Una partita di giro? Non esattamente: a differenza delle consorelle francese e tedesca interamente pubbliche, la Cdp appartiene al Tesoro solo al 70%. Di qui la terza questione: stiamo forse regalando qualcosa alle fondazioni che hanno il 30% della Cdp? In realtà, le fondazioni detengono azioni privilegiate da convertire in ordinarie entro il 2012. Nel momento in cui nuovi attivi ex statali aumentassero il valore della Cdp, salirebbe anche il prezzo di conversione delle azioni privilegiate. Ma si arriverà alla conversione con i chiari di luna attuali? Oggi, le fondazioni vorrebbero soprattutto capire i prezzi dei pacchetti azionari in arrivo: se troppo alti, intaccherebbero il loro investimento in Cdp, fin qui ottimo; viceversa, sarebbe lo Stato a perderci. Tra i rimedi c’è l’earn out, ossia la clausola, da negoziare, che attribuisce al venditore una parte del plusvalore emergente dopo la vendita. Quarta e ultima questione, la sostenibilità. La Cdp ha un buon bilancio. Il preconsuntivo 2011, firmato da Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, prefigura un utile di 1,7 miliardi. All’esordio come Spa, nel 2003, la Cdp aveva un patrimonio netto di 3,5 miliardi e partecipazioni per 11. Oggi, ha un un patrimonio netto di 14,5 miliardi, di cui 3 liberi da impegni, che regge partecipazioni per 18 miliardi. Se le partecipazioni salissero di 50 miliardi interamente finanziati con il risparmio postale, una quota troppo alta dell’attivo si troverebbe immobilizzata a fronte di un passivo in gran parte liquidabile a vista. Il piano dovrà dunque chiarire come si possa estrarre dalle società acquisite dallo Stato abbastanza cassa da destinare alla ricapitalizzazione della Cdp così da ridurre la leva finanziaria a multipli accettabili. Tutto verrebbe meglio se la Cdp potesse collocare le sue obbligazioni non garantite dallo Stato non solo presso gli investitori istituzionali ma anche presso i risparmiatori, facoltà preclusa da una legge suggerita nel 2003 dalla Banca d’Italia. In ogni caso, se alla Cdp verranno imposti tali e quali i criteri di Basilea 3, per cui le partecipazioni assorbono grandi quantità di mezzi propri, il piano faticherà a decollare. Massimo Mucchetti