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 2012  gennaio 30 Lunedì calendario

SILICONE, FINE DI UN’ILLUSIONE

Quanti volti perduti, nella memoria che invecchia, e non ne resta che il nome! Ma un volto anonimo, certamente, mai più potrò dimenticarlo.
Ero in sala d’attesa, in rue d’Ulm, a Parigi, dove avevo accompagnato un’amica a fare una chemioterapia. L’oncologico Curie non accoglie che malati di tumore ed è uno dei più celebri Istituti del mondo per tali cure. C’era, davanti a me, una piccola famiglia di tre persone: coppia giovane e un ragazzino. Parlavano pochissimo, i visi erano gravi, il ragazzino pareva trattenere con sforzo le lacrime. Avevo capito che si trattava, per la signora, di tumore del seno. Molti anni da allora, quasi venti forse, ma il volto di lei, oh non fatico certo a evocarlo! Era un volto di tristezza, tale da dire l’infinito, l’assoluto della tristezza, da renderla palpabile, come la solidità della notte nella Linea d’ombra di Conrad. Si poteva dirlo bello, nello smarrimento dello sguardo, quando non era basso, e da lì potevi capire, avendo sensi umani, che per una donna giovane il tumore del seno significa prima di ogni altra cosa un’offesa, un dramma del pudore, l’equivalente di uno stupro di branco.
Anni, o uno solo, dopo, persa l’amica nel gorgo delle metastasi, avevo pensato a costituire, con amici medici e altri ottimisti di disperazione, una Lega per le cure alternative dei tumori del seno e ginecologici in genere; ma non disponevo di denaro adeguato, né trovai incoraggiamenti, e io sono scoraggiabile come pochi. Eppure quella intravista disperazione dell’Institut Curie implorava che io dedicassi a questo male umano una riflessione non asettica, non scientifica, ma puramente umana, all’opposto della realtà ontologica del Disumano. E valga partire da questo: i seni siliconati, le innumerevoli manipolazioni correnti al silicone, scandalo emerso sulle cronache recenti destinate a sparire subito.
Ma che cosa sia il silicone, introdotto in questa pratica folle su quanto c’è di più fragile, nei corpi umani, ha mai disturbato nessuna coscienza? Il silicone è un minerale fossile, come il petrolio. Da silice, la silicosi è malattia professionale che assassina i polmoni. Siliconiamo i vetri delle finestre. È certo che con questa sostanza non si scherza. Tollerare o compiacersi di seni grossi come cocomeri, o rilevati a filo della moda, è da società alle quali è venuto meno, a profitto del farnetico, il semplice ragionare. Arriva a questo il nostro razionalismo impenetrabile a tutto? I seni siliconatissimi delle spogliarelliste di «Penthouse», tanto pregiati dalla maschilità americana, non fanno orrore? A un seno demolito da una estirpazione radicale, non abbiamo da proporre, per dargli un po’ d’illusione, che una protesi da cui può riaffacciarsi con più violenza il muso del tumore? Adesso corrono, ma in verità scarsi e frenati, allarmi e denuncie, ma il chirurgo plastico non sapeva, non sa nulla, della cancerogenicità di ciò che inietta? Le pazienti sono perfettamente avvertite dei rischi? Le leggi sanitarie non intervengono?
Seni come imbuti, spugne, habitat dei girini invisibili del tumore. E il fumo di sigaretta, che gli arriva ogni giorno come da un comignolo? E la diffusione dei tatuaggi, che un tempo erano riservati ai seni delle donne dei porti, alle quali i marinai imponevano il tatuaggio di un’ancora, che imbratta oggi i seni delle ragazze che assorbono network e cellulare, fino a pinzarsi i capezzoli con ripugnanti perline? Tutto va ai seni come la pietra va al mucchio, demenza su demenza. E quanto ignoriamo, appartenendo ai comportamenti intimi, è certamente peggiore e più strano.
Infinite sono le vie del tumore. Un modo non conforme di pensarlo è anche questo: vederci all’opera un colonizzatore totalitario spietato, mai sazio di vittime, che flagella i seni — creazione di millenaria sensibilità erotica femminile e di un intenso travaglio di incivilimento atto a migliorare la brutale natura — per imprigionarli, divorandoli a poco a poco. Non è materia, ma una entità dell’ombra. Tagliandogli qualche testa il drago non muore.
Come la natura tratta i seni, oltre a lasciar libero il démone di colpirli, vedilo negli scatti di Don McCullin sulla fame durante la guerra in Biafra: gravidanze senza limiti e denutrizione; scendono fino a terra, i capezzoli toccano la polvere, i loro allattati gridano invendicati.
Più grinta nel non cedere e nel concedere; conobbi fuggitivamente una collega sulla quarantina, carina, colpita dal tumore: tra l’orrore e lo scandalo dei familiari, rifiutate tutte le terapie, partiva sola per il Brasile, a farsi curare dai curanderos della foresta. Accettava di morirci, pur di non passare per gli ospedali e di finirla con la violenza mammografica. Non è peggio del silicone, una massiccia dose di radiazioni ionizzanti?
Osare di più nel pensare il mostro, e bestemmiarlo, respingendo la deplorevole rassegnazione cristiana. Quel volto dell’Institut Curie chiede altro che conforti di disperazione passiva: purtroppo non è che una impressione in me indelebile, usque dum vivam et ultra, non può costituire documento. Ma esorto a credermi. Sono certo che molti medici non protocollari, in diaspora senza frontiere, mi approverebbero.
Di Ramón Gómez de la Serna c’è un libretto fuori dall’ordinario intitolato Senos. Non parla d’altro, per più di duecento pagine (edito in italiano nel 1966 da Dall’Oglio). Ramón aveva perfettamente capito che i seni sono, più della matrice, un baratro. Tutto il corpo è labirinto di abissi, ma i seni ne sono l’entrata e il punto più indifeso; di là passa il crimine sadistico, e là s’infila per dilagare il tumore. «Triste corpo! — sublimeggiava Verlaine — Così debole, e così punito!».
Guido Ceronetti