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 2012  gennaio 30 Lunedì calendario

Proposta choc: la vita delle balene vada all’asta – Moby Dick è sotto assedio: la sua pelle lucida, guizzante, la pelle della regina in­discussa dei mari, vale un vero patrimo­nio

Proposta choc: la vita delle balene vada all’asta – Moby Dick è sotto assedio: la sua pelle lucida, guizzante, la pelle della regina in­discussa dei mari, vale un vero patrimo­nio. Per i commercianti giapponesi, 27 eu­ro al chilo la balena dell’Antartico, e circa 900 quella pescata a largo delle coste del Giappone. Nell’Antartico, almeno, non si pesca più: l’organizzazione di Sea She­pherd ha costretto il Sol Levante a capito­­lare, in queste acque. Cessare completa­mente la mattanza delle balene? Magari. L’Australia lo chiede a suon di azioni lega­li p­resso la Corte Internazionale di Giusti­zia. Ma se la caccia al mammifero d’ac­qua più affascinante del pianeta è vietata a scopi commerciali dal 1986, diventa per­fettamente a norma di legge quando lo scopo ufficiale è la ricerca scientifica. È co­sì che le baleniere nipponiche continua­no a navigare per mare aperto, nel nord­ovest del Pacifico, con obiettivi sempre più ambiziosi (il culmine è una spedizio­ne partita solo lo scorso dicembre) per esplorare gli stomaci e il prezioso Dna di 900 cetacei. Una pratica, braccare Moby Dick, che piace anche alla Norvegia e all’Islanda. Ma cosa ci si potrà inventare perché que­sta caccia diventi uno «sport» meno age­vole e gradito? Tre scienziati della rivista Nature avanzano una proposta singola­re. Si potrebbe applicare una quota, un ve­ro e proprio prezzo agli esemplari esposti al rischio della cattura: i balenieri faran­no la loro offerta, ma altrettanto potran­no tentare i «conservazionisti». L’anima­le si s­alverà a seconda di quale concorren­te all’asta farà l’offerta più alta: le quote sa­rebbero regolarmente vendute e acqui­state, stabilendo un mercato a cavallo tra economia, ecologia e interesse sociale, basato sia sulle balene che sui loro paren­­ti più stretti. E poiché gli attivisti impegna­ti per la protezione delle balene farebbe­ro delle offerte ghiottissime, i cacciatori potrebbero trarre un buon profitto senza la necessità di uccidere. I Paesi abilitati al­la tratta? Certamente gli Stati membri del­la International Whaling Commission (Commissione Internazionale per la cac­cia alle balene): il numero degli animali uccisi dipenderebbe da chi, alla fine della fiera, possiederebbe le azioni. «Un crudele mercato di schiavi» hanno commentato gli animalisti sul web.La so­vrana dell’oceano, il sottomarino col cuo­re che batte e il cervello più umano di tut­to il mondo subacqueo, sarebbe imbri­gliato in una contesa tra azionisti pro e contro la caccia: pro e contro l’estinzio­ne. Durissime le organizzazioni per la di­fesa della fauna: l’International fund for animal welfare tuona: «Simili professori potrebbero arrivare a soluzioni, molto, molto migliori di questa. Dare respiro eco­nomico a un mercato che sta morendo co­sì in fretta è un’idea talmente sciocca da toglierlo a noi, il respiro». Eppure qualco­sa tocca inventarsela. Non ha funzionato la proposta degli Stati Uniti di legalizzare la caccia in alcuni Paesi, con un trattato globale che contenesse il numero delle catture. Per Greenpeace, «la caccia a nor­ma di legge e quella illegale sarebbero complicatissime da distinguere». Sono trascorsi vent’anni da quando, tra canili e gattili di tutto il mondo, 17 mi­lioni di animali domestici venivano sop­pressi ogni anno. «Li uccidiamo per sal­varli » era il mantra. Ma c’è chi pensa che, tra frizioni internazionali, interessi eco­nomici e, chissà, «brainstorming» diplo­matico, un’idea vincente potrebbe esse­re quella di sempre: la difesa della vita. Simonetta Caminiti