Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  gennaio 30 Lunedì calendario

Un avvocato accusa i colleghi: «Squali a caccia di naufraghi» – «Come mai i piranha rinun­ciano a­d aggredire un avvocato ca­duto in acqua? Per un gesto di cor­tesia tra colleghi»

Un avvocato accusa i colleghi: «Squali a caccia di naufraghi» – «Come mai i piranha rinun­ciano a­d aggredire un avvocato ca­duto in acqua? Per un gesto di cor­tesia tra colleghi». La figura del­l’avvocato è da sempre nel mirino della satira. Un topos ideale su cui esercitare battute affilate e ironie assortite. Una consuetudine per una categoria condannata dalla natura del proprio lavoro- così co­me avviene per i giornalisti- a esse­re identificata come cinica, spieta­ta, arrivista, abituata a indossare una maschera che si trasforma in cappello con cui raccogliere par­celle. Questa volta, però, l’attacco, il rilievo critico e autocritico, arriva proprio dall’interno della catego­ria. Da un legale che se la prende contro i colleghi che, all’indoma­ni della tragedia della Concordia, hanno iniziato ad avvicinare so­pravvissuti e familiari delle vitti­me per aggiudicarsi la loro tutela legale. L’affondo è firmato da Re­nato Savoia, un avvocato di Vero­na che ha presentato un esposto disciplinare contro i colleghi per violazione dell’articolo 19 del co­dice deontologico. Una notizia che lui stesso ha dato in un video postato su Youtube. Corredando­­la da un titolo a tinte forti: «Dalle ri­sate dei costruttori per il terremo­to alle risate degli avvocati per il naufragio? (Ma no, l’Avvocatura per fortuna non è tutta così)». Il messaggio chiarisce meglio la sua presa di posizione. «Siamo tutti inorriditi, credo e spero, nello sco­prire che vi era chi al momento del­la tragedia del terremoto rideva pensando agli immobili da costru­ire. Ebbene, lo stesso effetto l’ho avuto nel leggere le proposte di of­ferte di “disponibilità” da parte di colleghi (il minuscolo è voluto) che non hanno perso tempo nel di­­chiararsi pronti per “ aiutare”i tra­s­portati e familiari degli stessi del­la nave Costa Concordia. Non da­rò qui i link, perché sarebbe inevi­tabilmente ulteriore pubblicità gratuita a comportamenti del tut­to sgradevoli (e, forse, deontologi­camente scorretti, ma a questo penseranno i Consigli dell’Ordi­ne cui h­o già inviato la segnalazio­ne per gli opportuni provvedimen­ti), ma non è difficile trovarli sul web. Quello che voglio dire, aven­done parlato con alcuni colleghi questa mattina in tribunale e nei social network (e anzi proprio a una di loro devo il paragone con le risate dei palazzinari) è che la stra­grande maggioranza dell’Avvoca­tura è cosa distinta e distante da comportamenti che non trovo al­tro termine per definire se non sciacalleschi». In effetti la tragedia della Con­cordia ha acceso l’interesse di molti studi legali. E anche gli «av­vo- star» - ovviamente i primi a cui viene naturale rivolgersi in circo­stanze di questo tipo - sono entra­ti in campo conquistando spazio e visibilità sui tg. Nino Marazzita è stato il primo ad annunciare di avere avuto il mandato per la tute­la legale di alcuni passeggeri, se­guito poi da Giulia Bongiorno ­parlamentare in carica- che ha da­to la notizia della presentazione di una azione penale collettiva. C’è poi lo studio Irwin Mitchell che ha ottenuto il mandato per tu­telare una ventina di passeggeri stranieri. E ancora: Marc Bern, un avvocato di New York, che per sei passeggeri ha presentato una ri­chiesta di risarcimento da 460 mi­lioni. Su siti e portali fioriscono an­che discussioni e divisioni sulle modalità migliori con cui affronta­re la «grande causa». L’avvocato Stefano Bertone dello studio Am­brosio e Commodo di Torino- che insieme a Marco Bona assiste di­verse persone già a bordo della na­ve- ha ad esempio bocciato la scel­ta della class action. Uno strumen­to che «sarebbe uno svantaggio per i naufraghi. La class action pre­vede identiche azioni di tutela e nel caso della Costa Concordia questo evidentemente non può essere messo in atto dal momento che ci sono persone che hanno ri­portato danni fisici, altre che han­no solo perso il bagaglio e il prezzo del biglietto, altre ancora che han­no subito la tragica perdita di un congiunto. Inoltre non sarebbe applicabile a chi non è consuma­tore, quindi paradossalmente an­che ai familiari delle vittime». Co­sì come un vero e proprio azzardo, secondo i legali, appare l’iniziati­va di una class action negli Usa in quanto ai danneggiati non ameri­cani verrà senz’altro contestata la mancanza di giurisdizione statu­nitense. Uno spreco di tempo e de­naro, nonostante il corteggiamen­to degli avvocati americani, che cercano di attirare chi sia stato vit­tima di tragedie collettive. La gran­de caccia al risarcimento, insom­ma, è partita. E con essa l’umana tentazione di soffiare sul fuoco della rabbia dei passeggeri. Fabrizio de Feo