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 2012  gennaio 29 Domenica calendario

DOPO “LOST” J. J. ABRAMS SBARCA SU ALCATRAZ - U

dite, udite, il famigerato penitenziario di Alcatraz non è mai stato chiuso”. Non solo, continua a mietere vittime, ma stavolta a piede libero: prima, delle tracce assassine su una scena del crimine, poi, addirittura un cecchino da un morto ammazzato al giorno. Fantascienza, incubo o mistero, chissà, ma l’attesa sale, l’adrenalina monta, perché isola che vince (non) si cambia.
Vi ricordate Lost? Cambiate latitudine, e spostatevi su Alcatraz, L’isola dei dimenticati (1937), quella dell’Uomo di Frankenheimer (1962), della Fuga di Siegel e Eastwood (1979). L’isola dell’ingiustizia (1994), l’isola più rocciosa – The Rock (1996) – dell’immaginario americano dietro le sbarre: poteva esimersi J. J. Abrams? Ovviamente, no, ed ecco Alcatraz, serie tv Fox in 13 episodi dal 30 gennaio sui nostri piccoli schermi (lunedì in prima serata su Premium Crime, e anche in free-view sul canale 309). Si parte da una intro sibillina, in puro stile J. J.: “Il 21 marzo 1963, Alcatraz venne ufficialmente chiusa. Tutti i prigionieri vennero trasferiti fuori dall’isola. Ma questo non è ciò che accadde realmente. Per niente”.
SIAMO sulla terraferma, eppure qualcosa si muove tra mistery, thriller e oltre 10 milioni di spettatori incollati alla première nordamericana del 16 gennaio: 302 uomini, 256 detenuti e 46 secondini della prigione nella Baia di San Francisco, scomparsi nel lontano 1963. Protagonisti, vecchie conoscenze del calibro di Jorge Garcia – lo Hugo “Hurley” Reyes di Lost trapiantato nei panni del dottor Diego Soto, l’espertone del penitenziario californiano – e altri pezzi da novanta dei serial: Sarah Jones (Sons of Anarchy), Sam Neill (Tudors), Parminder Nagra (ER) e Santiago Cabrera (Heroes). Eppure, forse non basta uno Jorge e un isolotto per fare un Lost 2.0: “Entrambi i serial hanno in comune un’isola, entrambi sono avvolti dal mistero e in entrambi recita lo stesso ragazzo, ma non ci sono altre somiglianze”, ha premesso e promesso J. J.. Ma c’è da credergli? Tra depistaggi marketing e rivendicazioni creative, arcipelaghi di senso e identità differenziali, più di qualcosa ritorna nel serial ideato da Bryan Wynbrandt, Steven Lilien, Elizabeth Sarnoff e tenuto a battesimo (executive producer) da Mr Super 8: innanzitutto, per dirla con Michel Houellebecq, la possibilità di un’isola, e le mille possibilità del plot, tra indagini, diversioni, incursioni sci-fi, scheletri confidenziali e armadi top secret. Il faccia a faccia è con la detective della polizia di San Francisco Rebecca Madsen (Sarah Jones): un caso di omicidio, e sulla scena del crimine impronte digitali che appartengono a Jack Sylvane (Jeffrey Pierce), un detenuto di Alcatraz dichiarato morto nel 1963. Partono le ricerche, a quattro mani col dottor Soto, e si scopre che Jack Sylvane non solo è vivo e vegeto, ma non è mai invecchiato. Che ci sia lo zampino della fantascienza? A metterci il naso l’agente Emerson Hauser (Sam Naill) e l’assistente Lucy Banerjee (Parminder Nagra), ma a fiutare puzza di bruciato saranno ancor prima gli spettatori, perché Sylvane non è l’unico, ma solo il primo di una lunga teoria di redivivi, dati per spacciati nel ’63 e misteriosamente ricomparsi 40 anni più tardi.
PROVERBIO vuole, la verità viene a galla, ma Alcatraz è già un luogo comune, “La fortezza”, il penitenziario per antonomasia, una realtà coercitiva così solida da scongiurare voli pindarici e visioni immaginifiche: riuscirà a farci “evadere” il buon J. J.? Dalla sua, un lusinghiero curriculum che nel mistery ha fatto professione di fede: per qualcuno – complice amicizia e collaborazioni – Abrams è lo Steven Spielberg del Terzo millennio, onnivoro (esisterebbe Alcatraz senza il recente Shutter Island di Denis Lehane/Martin Scorsese?) e ondivago, capace di perdersi (Lost) e sdoppiarsi (Alias) rimanendo fedele a se stesso, senza paura del mélo (Felicity) e delle Mission: Impossible, delle epifanie di genere (Fringe) e delle resurrezioni cult (Star Trek). Dunque, un uomo per tutte le stagioni (d’altronde, parliamo di serial...), buono per l’horror che non c’è (Cloverfield) e per le debite citazioni di E.T., Incontri ravvicinati del terzo tipo e The Goonies assemblate in Super 8. In bilico tra passato (del cinema) e presente (della tv), è l’homo novus dell’audiovisivo 2.0, uno ma poliedrico, tanti ma riconoscibile, Jeffrey e Jacob, per tutti J. J.. Forse non riuscirà a farla franca da Alcatraz, ma lo diceva già Eastwood: “Vale sempre la pena rischiare se vuoi qualcosa”.