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 2012  gennaio 29 Domenica calendario

BILDERBERG E TRILATERAL, IL VERO POTERE È LA DISCREZIONE - 1996

Il giornalista Daniel Estulin racconta di aver incontrato La Fonte in un albergo di Toronto. Quando si salutano, Daniel fa per prendere l’ascensore. “Attento!”, lo ferma La Fonte. Le porte si erano aperte, ma la cabina non era al piano, Estulin si sarebbe sfracellato decine di piani più sotto. Guasto tecnico? No, un messaggio: guai a indagare sul club Bilderberg, giura Estulin. Se volete capire cosa succede dentro il Bilderberg, o negli altri incontri a porte chiuse più famosi, dalla Commissione Trilaterale all’Aspen al Forum di Davos, in Svizzera, libri come Il club Bilderberg - La storia segreta dei padroni del mondo di Daniel Estulin (Arianna Editrice) non vi servono a molto. Ma se vi piacciono le teorie del complotto in stile “protocollo dei Savi di Sion”, allora la lettura vi darà qualche soddisfazione. Ammettiamolo: Estulin e gli altri animatori di migliaia di siti e forum on line non sono mai riusciti a scoprire cosa si dicano i grandi della Terra nei loro conciliaboli riservati. Ma hanno molte ipotesi, tutte rigorosamente prive di riscontri: dividere il Canada, o anche fonderlo con gli Usa, far trionfare il capitalismo, ma anche, perché no, distruggerlo speculando, inventare l’euro o abbatterlo. Il lavoro di questi “giornalisti d’inchiesta” non è mai andato molto oltre la lista dei partecipanti e qualche foto col teleobiettivo. Ma da quando Mario Monti, frequentatore sia del Bilderberg che della Trilaterale, è al governo, queste teorie hanno trovato nuova vita.
“SONO GRANDI network globali, servono soprattutto a conoscere persone altrimenti poco accessibili. Si creano culture che possono avere sul lungo e medio periodo un impatto molto forte, ma non si tratta del governo mondiale”, spiega Mattia Diletti, un politologo della Sapienza specializzato nello studio dei think tank. Ci sono diverse cerchie di segretezza: Davos è il più accessibile, il Bilderberg il più riservato, “alimentare il mito del proprio potere è un modo per rassicurare i membri di appartenere a club esclusivi”, dice Diletti. Davos, anzi il “World Economic Forum”, è un’invenzione di Klaus Schwab, un ingegnere svizzero che ha studiato ad Harvard. Nel 1971 torna in Svizzera e da allora organizza un summit invernale che ha due livelli: quello delle tavole rotonde, trasmesse in streaming sul sito, e gli incontri informali. “Quello che conta è ciò che succede nei corridoi e il vertice si è evoluto negli anni in modo da favorire questi colloqui”, scrive in Superclass (Mondadori) David Rothkopf, ex managing director della società di consulenza strategia di Henry Kissinger, assiduo frequentatore di tutti i summit riservati. A Davos, nel 1995, Shimon Peres e Yasser Arafat poterono parlare di Gaza al riparo da occhi indiscreti, nel 2003 il ministro inglese Jack Straw potè incontrare a tu per tu il leader iraniano Mohammad Khatami. E sempre a Davos, come ricostruisce Rothkopf, fu preparata la vittoria di Boris Yeltsin nella Russia postsovietica.
Il bene prezioso, insomma, è proprio la riservatezza di questi summit. E quello che meglio la garantisce è senza dubbio il club Bilderberg, nato in piena Guerra fredda nel 1954 per iniziativa del principe olandese Bernhard van Lippe-Biesterfeld, è diretto dal 1998 dall’ex commissario europeo Étienne Davignon. Negli anni le riunioni del Bilderberg sono state individuate come le incubatrici del golpe del 1974 in Portogallo, dell’ascesa di Bill Clinton e Tony Blair, o di speculazioni valutarie. Esagerazioni? Di certo le informazioni che si scambiano in questi consessi hanno un valore notevole, altrimenti non si spiegherebbe perché gli uomini più potenti del mondo dedichino tanto del loro prezioso tempo a questi raduni. Grazie a Wikileaks sappiamo qualcosa di come funzionano le riunioni del Bilderberg. Il sito di Julian Assange ha pubblicato i verbali di alcune riunioni, del 1955, del 1963 e del 1980. Nei verbali non è mai indicato chi parla, ma il dibattito parte sempre dalla presentazione di un paper che poi viene commentato. I temi sono quelli che si possono immaginare, dalla sicurezza nucleare agli accordi di libero scambio, all’evoluzione delle relazioni internazionali. La Commissione Trilaterale è più trasparente, sul sito c’è l’elenco dei componenti di questa struttura voluta da David Rockefeller nel 1973 per coordinare i tre vertici del mondo non sovietico, America, Europa e Giappone. Più le cose si fanno confuse, a partire dagli anni Ottanta, più importanti diventano questi organismi di confronto (e coordinamento). Al vertice c’è sempre un triumvirato, oggi la casella europea è vuota dopo che Mario Monti si è autosospeso, per gli americani c’è il teorico del soft power, il politologo Joseph Nye e il giapponese Yotaro Kobayashi, numero uno del colosso Fuji Xerox. La Trilateral è l’organismo meno connotato dal punto di vista del business e più da quello culturale.
ANCHE QUI c’è una certa riservatezza sugli svolgimenti degli incontri, ma i testi di cui si discute sono pubblici. Come il famoso lavoro del 1975 “The crisis of democracy” firmato da Michel Crozier, Joji Watanuki e Samuel Huntington, il politologo famoso per la teoria dello “scontro di civilità”. Queste le conclusioni: “Quello che è in crisi oggi non è il consenso sulle regole del gioco, ma il senso dello scopo che si dovrebbe raggiungere partecipando al gioco”. É la “democrazia anomica”, dove la competizione per il potere “diventa più un’arena per l’affermazione di interessi in conflitto che un processo per il raggiungimento di un proposito comune”. Se la Trilaterale voleva cambiare il mondo, non sembra esser-ci riuscita molto.