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 2012  gennaio 29 Domenica calendario

DAVOS, REGNA LA MERKEL - A

Davos non c’è spazio per l’ottimismo. Anche quest’anno il World Economic Forum nella cittadina Svizzera prova, senza riuscirci, a intravedere la fine della crisi. Ma c’è il solito Nouriel Roubini, l’economista della New York University, a predicare catastrofi: “In pochi mesi la Grecia potrebbe essere fuori dall’Eurozona. Dopo qualche tempo potrebbe essere la volta del Portogallo”. L’agenda informale del summit organizzato ogni anno dal manager svizzero Klaus Schwab era chiara: rafforzare la rete globale attorno alla crisi dell’euro che ha ancora troppi buchi. “Sono qui, con la mia piccola borsa, a raccogliere denaro”, ha scherzato ma non troppo Christine Lagarde, il direttore del Fondo monetario internazionale che da mesi cerca di coinvolgere Paesi come Cina e Brasile nel salvataggio dell’euro. Al Fmi servono subito altri 500 miliardi, i Paesi europei si sono impegnati a trovarli ma per ora non hanno ancora cominciato a versarli (tramite prestiti delle banche centrali nazionali). Anche perché nel giro di pochi mesi dovranno sborsare la prima tranche dei conferimenti di capitale all’Esm, il Meccanismo europeo di stabilità che deve sostituire quanto prima l’ormai inutile Efsf, Fondo salva Stati, azzoppato dai declassamenti di Standard & Poor’s e da troppi difetti originari.
Mentre gli europei si impantanano in bizantinismi contabili per adottare le misure di emergenza dicendo agli elettori che si sta facendo l’opposto, chi ci osserva da fuori è sempre più perplesso. A Davos Kenneth Rogoff, un economista di Harvard più sobrio di Roubini e più preparato sulla storia delle crisi, ha detto ieri che “avremo bisogno di ristrutturazioni in Grecia e Portogallo, probabilmente anche in Irlanda e probabilmente in Spagna, se si include il debito delle grandi banche. L’Italia è un caso borderline, dove potrebbe verificarsi solo un problema di liquidità”.
EPPURE IN GRECIA si sta facendo di tutto per chiudere l’accordo tra banche creditrici e governo prima del Consiglio europeo che si apre domani a Bruxelles. Ed evitare così la ristrutturazione, sinonimo rassicurante di bancarotta (si cambiano scadenze ed entità dei rimborsi del debito). La Germania, che Davos ha celebrato come perno della crisi affidando il discorso di apertura del summit ad Angela Merkel, sta facendo sempre più pressione, ormai ben oltre gli standard ella diplomazia. Solo smentite poco convinte da Berlino relative alla notizia che apriva il Financial Times di ieri: la richiesta del governo tedesco di scambiare il secondo prestito europeo da 130 miliardi con l’arrivo di un commissario di Bruxelles ad Atene per gestire il bilancio interno. Una cessione di sovranità praticamente totale, che il governo di Lucas Papademos , per ora, respinge. “C’è effettivamente una nota informale che è stata presentata all’Eurogruppo – ha spiegato ieri una fonte governativa alle agenzie – ma è fuori questione che noi accetteremmo”.
NEPPURE IL FORUM di Davos, dove gli Stati Uniti hanno potuto esercitare tutta la loro moral suasion, sembra aver smosso la Germania dalla sua rigidità fiscale che verrà sancita domani a Bruxelles dall’accordo sul trattato internazionale a 26 (Gran Bretagna esclusa) noto come “fiscal compact”. Ma del summit di quest’anno resterà almeno la ricetta suggerita dal finanziere George Soros: la Bce potrebbe prestare soldi agli Stati come l’Italia a tassi ridotti senza violare il suo mandato se quei prestiti fossero assicurati dai fondi salva Stati Efsf e Esm. Secondo il finanziere che fede quasi saltare il Paese con il suo attacco alla lira, il prezzo del nostro debito scenderebbe all’1 per cento.
La crisi è l’argomento principale di Davos, ma nella cittadina Svizzera non è mai tempo di austerità. Lo denunciano le femministe, quelle dell’ormai celebre movimento ucraino Femen, che ieri hanno sfilato a seno nudo (nonostante il freddo) con slogan come “La crisi è made in Davos” e “Poveri a causa vostra”. In tre sono state arrestate. Ma l’immagine che sintetizza lo spirito di Davos è quella delle toilette: come racconta Federico Fubini del Corriere della Sera, tutti i wc delle strutture del Forum sono riservati ai potenti ospiti tranne, uno soltanto è a disposizione di centinaia di giornalisti e migliaia di delegati. Sintesi perfetta di quella necessità di rivolta del “99 per cento” contro un’élite ristretta e arrogante predicata dal movimento Occupy Wall Street.