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 2012  gennaio 28 Sabato calendario

IL CREDITO GELA LE RADICI DELL’IMPRESA

Nell’ultimo semestre la crisi del debito sovrano ha pesantemente influenzato la capacità di raccolta del sistema bancario europeo: il premio di rischio sui titoli di Stato ha reso il funding per le banche europee - soprattutto quelle dei Paesi periferici - estremamente oneroso.
A questo fenomeno di mercato si è intrecciata un’evoluzione, improvvida quantomeno nel timing, della regolazione del settore bancario europeo, che ha comportato, a parità di tutte le altre condizioni, una riduzione delle capacità di lending. Ma le altre condizioni non erano ferme, come si è appena detto: l’aumento prospettico dei ratios imposti di patrimonializzazione tende così a combinarsi con l’estrema difficoltà di raccolta a tassi elevati, e con nuovi criteri di valutazione dei titoli sovrani posseduti che hanno comportato una riduzione del patrimonio contabile, soprattutto per quelle banche italiane che avevano ingenti investimenti prudenziali in titoli considerati sicuri, come le emissioni della Repubblica Italiana. La regolazione patrimoniale e contabile, insomma, ha assunto un carattere spiccatamente pro-ciclico, inopinatamente proprio nel momento più negativo del ciclo. Ne è derivato un rischio di congelamento del credito tutt’altro che remoto, che può aggravare gli influssi recessivi già presenti nell’economia reale dell’Europa, e persino ostacolare le imprese nei loro tentativi di rimanere agganciate alla crescita che ancora caratterizza altre aree mondiali, e che sembra riaffacciarsi oltre Atlantico. È per risolvere tali criticità che la Banca centrale europea è intervenuta, a partire da dicembre scorso, con misure eccezionali, tra le quali la decisione di fornire liquidità alle banche europee concedendo prestiti triennali a un tasso dell’1% - Longer-term refinancing operations (LTROs).
La ratio dell’intervento - peraltro già utilizzato in forma diversa nel momento di maggior gravità della crisi - è sbloccare il mercato dei capitali a medio termine, mettendo a disposizione delle banche beneficiarie risorse da riversare nel settore produttivo. A fine dicembre sono stati erogati circa 490 miliardi di euro a oltre 500 banche europee; in seguito a tale misura, l’esposizione complessiva delle banche italiane verso la Bce ha superato la soglia dei 200 miliardi di euro. Pur tuttavia, l’intervento costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente per evitare il credit crunch: l’immissione della liquidità nel canale dell’economia reale è infatti una decisione discrezionale delle banche beneficiarie.
In questa prospettiva è utile considerare i dati relativi all’ammontare dei depositi delle banche europee presso la Bce, che a metà gennaio hanno raggiunto il valore record di 528 miliardi per poi ripiegare sui livelli di dicembre (circa 400 miliardi, grafico n. 2): tale andamento evidenzia come, dopo un periodo di congelamento, le misure adottate stiano gradualmente contribuendo ad allentare le tensioni sulla raccolta. Resta da valutare la porzione di liquidità addizionale effettivamente iniettata nel sistema economico nel medio termine.
L’elevata consistenza dei depositi overnight presso la Bce è in termini generali un dato preoccupante sotto il profilo prospettico, costituendo una misura indiretta della mancanza di fiducia nel mercato interbancario. Ammontari elevati suggeriscono come gli istituti europei preferiscano mantenere bloccata la liquidità ottenuta a un tasso "simbolico" piuttosto che iniettarla nel sistema economico a tassi più elevati. A questo proposito, è opportuno evidenziare come le banche italiane abbiano iniziato a riversare tali risorse sui mercati (Banca d’Italia). Tuttavia, senza la completa rimozione del collo di bottiglia sul mercato dell’approvvigionamento del credito, si corre il rischio concreto che il potenziale di crescita dell’economia europea rimanga inespresso.
La situazione di potenziale stallo del credito arriva in un momento particolarmente delicato per il sistema industriale nazionale in cui sembra si stia affermando una "ripresa a due velocità": se infatti le imprese italiane si confrontano con la scarsa dinamica della domanda nel mercato interno, sono al contrario osservabili segni di grande vitalità nella loro proiezione verso l’estero. Le esportazioni nel periodo gennaio-ottobre 2011 sono cresciute del 12,5% in valori (vs l’11,7% dell’import; rispettivamente 4,8% e 0,6% in volumi) tornando su base annuale ai livelli pre-crisi (circa 370 miliardi di euro nei dodici mesi novembre 2010-ottobre 2011, ultimo dato disponibile Istat).
È una dinamica che ha visto come protagonista il sistema delle imprese distrettuali italiane, cuore pulsante del capitalismo industriale italiano: aziende in grado di penetrare - o direttamente o seguendo la capofila - mercati spesso protetti da barriere regolamentari, e preservare la propria competitività pur operando in condizioni di contesto obiettivamente complicate. Sono imprese altamente specializzate, operanti in aree geografiche localizzate, microsistemi territoriali in cui si affermano conoscenze e competenze spesso tacite e non trasferibili ed economie di esperienza derivanti da innumerevoli interazioni più o meno esplicite.
Tra i fattori chiave che hanno permesso al tessuto delle imprese distrettuali di mantenere il proprio posizionamento e controbilanciare le elevate rigidità caratterizzanti il mercato interno vanno ricordate - oltre al presidio sull’eccellenza di prodotto - la flessibilità produttiva conservata mediante il ricorso alla leva della mobilità delle risorse infra-distretto e la capacità di adattamento ai repentini cambiamenti intervenuti con la crisi (in tale ottica, la spinta disintegrazione verticale ha rappresentato un fattore critico di successo).
Se infatti nel momento più grave della crisi le imprese distrettuali hanno sofferto maggiormente, esse hanno saputo reagire con prontezza non appena la congiuntura internazionale è migliorata, di fatto riuscendo ad avvicinare nel terzo trimestre del 2011 gli stessi livelli di esportazione di picco assoluto (-3,1% rispetto al secondo trimestre 2008, dati Intesa Sanpaolo) soprattutto grazie alla capacità di penetrazione dei nuovi mercati. In questo quadro complessivo, la crisi ha però generato un fenomeno di polarizzazione dei risultati di redditività: le migliori imprese distrettuali hanno mostrato spiccata resilienza nelle performance ampliando la forbice competitiva rispetto alle meno performanti.
È alla luce di tali presupposti che si configurano nel medio-breve alcune opzioni strategiche che potrebbero consentire alle imprese distrettuali di completare il proprio percorso di maturazione, diventando meno vulnerabili ed esposte alle variazioni congiunturali negative: la prima è costituita dall’opportunità per i player più performanti (o per l’impresa capofila) di avviare operazioni di acquisizione/ fusione per incrementare la propria massa critica.
Queste ultime sono attivabili sia sulla dimensione orizzontale che su quella verticale della filiera, aggregando fasi contigue e/o successive delle catene di subfornitura per incrementare l’efficienza complessiva - si pensi ad esempio alla drammatica riduzione di costi logistici, di transazione e di trasporto ottenibile rilocalizzando in senso centralizzato impianti produttivi relativi a diversi stadi della filiera. Tuttavia tali operazioni rendono necessario il compimento di un ulteriore "scatto culturale" da parte degli imprenditori, nella direzione di superare atteggiamenti individualistici e di condividere informazioni anche riservate, soprattutto nella fase di screening di tali operazioni.
Una seconda area è rappresentata dall’utilizzo di marchi di distretto che permettano di generare un nome distintivo utile per incrementare l’efficacia della penetrazione dei mercati esteri; tale azione può accompagnarsi, soprattutto nel caso di geografie verso le quali i consumatori sono disponibili a pagare un price premium per prodotti "verdi", all’adozione di certificazioni che attestino l’eco-sostenibilità dei prodotti e dei processi produttivi. L’ultima attiene al consolidamento del rapporto con le banche a spiccata vocazione territoriale, che hanno permesso lo sviluppo delle realtà distrettuali sapendo conservare un adeguato livello di prossimità e personalizzazione del servizio e accanto alle quali, negli anni precedenti alla crisi, si è affermato seppur gradualmente il modello delle merchant bank specializzate nel segmento Low-Mid Corporate. Istituti in grado di interpretare efficacemente le esigenze delle imprese distrettuali, sostenendone i progetti di espansione, e di sviluppare un servizio "tailorizzato" per le stesse.
Queste banche hanno saputo predisporre un’offerta che è andata al di là della componente di puro lending, mediante l’introduzione di servizi di advisory adatti ad aziende con forte propensione internazionale - ad esempio, gestione del rischio cambio e/o del prezzo delle commodity, o finanziamenti con indicizzazioni a valuta e a indici economici del paese target - o la possibilità di concedere finanziamenti utilizzando collaterali non convenzionali - ad esempio, prestiti profit-linked di durata limitata la cui rata di rimborso è una quota fissa del cash flow generato, prevedenti la possibilità di up-side o down-side per l’istituto.
In sintesi, player assolutamente necessari per lo sviluppo dell’impresa distrettuale che, anche nelle attuali condizioni di contesto, potranno continuare a offrire il proprio supporto alla loro crescita alla luce delle strette relazioni consolidatesi nel tempo.