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 2012  gennaio 29 Domenica calendario

L’«ITALIANO», È UNA PAROLA

La prospettiva da cui Lionardo Salviati muoveva nell’impostare l’architettura del primo grande vocabolario di una lingua moderna spiega la vistosa assenza, nel Vocabolario della Crusca (uscito esattamente quattrocent’anni fa, nel 1612) di una voce che pure avrebbe potuto - anzi, forse, dovuto - comparirvi, cioè italiano.
Nella selezione delle voci delle Tre Corone da ammettere alla codificazione lessicografica della lingua toscana, Salviati si riserva di non accogliere integralmente il loro lascito, estendendo tale riserva non solo al plurilingue e stilisticamente variegato Dante, ma anche al più omogeneo Boccaccio. «Le voci delle Novelle se io non m’inganno, sono quasi tutte buone, nell’altre opere la maggior parte; e qui vuol giudicio el conoscerle, e nell’usarle con decoro», scrive a Borghini nel 1576. Per questa via, l’accoglimento indiscriminato delle voci impiegate dagli autori antichi può essere oggetto di una selezione discrezionale da parte dei cruscanti, ai quali si lasciava la possibilità di non far passare attraverso il loro vaglio persino parole fiorentine "auree". Tra i moventi che avranno spinto i collaboratori e i successori di Salviati nell’impresa del Vocabolario a escludere il termine italiano dal lemmario dell’opera vi sarà certamente l’ostilità che quella parola, usata come nome della lingua, aveva sempre conosciuto presso gli autori toscani o toscanisti. Il margine discrezionale predicato dall’ispiratore dell’opera circa l’accoglimento delle voci di Boccaccio e Villani consentiva persino un’esclusione così impegnativa. Tanto più che vari altri nomi di popoli e di lingue trovano posto nel Vocabolario (da francesco, "francese", a germanico, "tedesco", da greco a latino, da tosco a saracinesco, "saraceno"), e che un lemma è dedicato alla voce italico, per il quale si riporta un esempio da ciascuna delle Tre Corone. La parola italiano compare, a dire il vero, nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612): pur non essendo censita in un lemma a sé stante, essa spunta ben dodici volte nelle citazioni da autori antichi riportate in altre voci. Sotto assentimento, intestino, inzigagione, ragazzaglia, rimedire, sboglientare, serenissimo e stimolo il termine compare in brevi brani tratti dalle cronache del Villani; alla voce mercatante si trova puntualmente il passo del Decameron sui «mercatanti italiani».
C’è un altro luogo del Vocabolario in cui l’aggettivo italiano sarebbe potuto apparire ma (prevedibilmente) è assente: è il titolo, la cui vicenda merita tuttavia di essere richiamata. Nel 1608, gli accademici avevano deliberato di intitolare Vocabolario della lingua toscana l’opera che andava ormai prendendo forma. Due anni più tardi, allo stesso titolo fu aggiunta la dicitura «cavato dagli scrittori e uso della città di Firenze». Supplemento impegnativo (specie nel richiamo all’uso, assai controverso), che probabilmente, anziché placare le discussioni tra i cruscanti, le rinfocolò. Così, il titolo finale, decisamente elusivo (Vocabolario degli Accademici della Crusca: «un capolavoro di prudenza secentesca», lo definì Bruno Migliorini) viene deciso dopo tre anni di dibattiti e indicato alla fine della Istruzione inviata il 13 ottobre 1610 dai deputati al Vocabolario al segretario Bastiano de Rossi, che a Venezia si occupava concretamente della stampa del volume. Nondimeno, il titolo Vocabolario della lingua toscana compare nella licenza di stampa concessa nel gennaio 1611 dai capi del Consiglio dei Dieci, la magistratura veneziana incaricata di dare il nullaosta editoriale. Il testo dell’autorizzazione è riportato subito dopo il frontespizio del volume (e il suo contenuto, forse per la posizione defilata, sembra essere sfuggito agli studiosi moderni della cosiddetta Prima Crusca). È probabile che la discrepanza dipenda dal fatto che la richiesta di autorizzazione alla stampa era stata chiesta, verosimilmente, prima del 1610. Rimane così, fin nella stampa dell’editio princeps, una traccia evidente delle polemiche anche interne all’Accademia circa il nome della lingua. Il Vocabolario degli Accademici della Crusca, capostipite della tradizione lessicografica nazionale, non solo è uno dei pochissimi dizionari esistenti a non esibire nel titolo il nome della lingua cui si riferisce (lo stesso accade al Dictionnaire de l’Académie Française, del 1694, ma in quel caso ciò sembra dipendere da un procedimento simile all’antonomasia), bensì fu concepito con un titolo diverso da quello con cui poi fu stampato, recando fin nelle pagine iniziali i segni di una notevole incertezza.