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 2012  gennaio 29 Domenica calendario

IRONMAN

Carne, metallo, silicio una vita da cyborg –

Finalmente il suo stato di cyborg compare sul passaporto. Dopo una lunga battaglia legale, Neil Harbisson ha ottenuto il diritto di usare la foto con la telecamera fissata sulla fronte. È il suo terzo occhio. Consente a Neil di percepire quei colori che le sue iridi naturali non riescono a distinguere. Il trentenne artista di Barcellona ha una malattia che si chiama acromatopsia: può vedere solo in bianco e nero. Ma a differenza di lui, la telecamera che lo accompagna riesce a vedere benissimo le sfumature del mondo. Tramite un software, questo apparecchio chiamato "eyeborg" trasforma i colori in note musicali in modo che l’armonia del mondo possa raggiungere Harbisson sotto forma di una sinfonia di suoni.

Nel 2010 anche Wafaa Bilal si era fatto impiantare una telecamera sulla nuca. L’incredibile progetto del professore di fotografia alla New York University si intitolava "The third I", "Il terzo me".

C’era voluto un vero e proprio intervento chirurgico, ma l’artista fuggito dall’Iraq durante la prima Guerra del Golfo progettava di usare per tre anni il "terzo occhio" trasmettendo sul sito internet 3rdi.me il film della sua vita. Ma un’infezione provocata dal metallo a contatto con la pelle lo ha costretto a interrompere l’esperimento anzitempo.

Silicio e fibre nervose si intrecciano anche nel corpo di Kevin Warwick, professore di cibernetica all’università di Reading: il più anziano pioniere della tribù dei cyborg. Nel ’98 entrò in sala operatoria per farsi impiantare un transponder nel braccio sinistro. All’inizio il suo chip svolgeva operazioni piuttosto semplici: apriva porte e accendeva luci. E nel momento in cui il professor Warwick superava la soglia del suo studio, il computer si avviava augurandogli una magnifica giornata. Poi, anno dopo anno, l’uomo che fin da giovanissimo aveva dichiarato «Io diventerò un cyborg», ha superato numerose frontiere, arrivando a collegare il suo chip direttamente su internet e a convincere la moglie a inserirsi un transponder gemello nella speranza di poter comunicare con lei senza bisogno di usare parole o gesti. Direttamente da cervello a cervello. Nel 2002 la metamorfosi delle trasmissioni nervose partite dal cervello in segnali elettronici ha permesso al professore di muovere una mano robotica che si trovava dall’altra parte dell’Atlantico. Mentre alcuni suoi studenti si sono fatti impiantare dei piccoli magneti che tramite ultrasuoni o tramite radiazioni infrarosse percepiscono la distanza o la temperatura degli oggetti. In prospettiva, potranno aiutare a orientarsi le persone prive della vista o guidare i soldati attraverso gli ostacoli in un ambiente completamente buio.

«Dal punto di vista tecnico si stanno facendo progressi enormi» spiega Maurizio Gabbrielli del dipartimento di Scienze dell’informazione dell’università di Bologna. «Ma proseguendo su questa strada, arriverà un momento in cui dovremo affrontare una domanda fondamentale. Fino a che punto possiamo pensare di sostituire degli elementi biologici con del silicio, eppure continuare a dire che abbiamo ancora di fronte la stessa persona?». Se cervello e computer possono mescolare i loro linguaggi per spostare verso il futuro la frontiera del possibile possono anche risolvere problemi pratici di persone colpite da malattia. Un chip, se impiantato in una retina incapace di funzionare, è in grado di trasmettere i segnali che riceve dalle radiazioni luminose direttamente al nervo ottico. L’immagine percepita dal cervello è ancora primitiva, ma con il tempo l’efficienza di questi veri e propri "occhi artificiali" non potrà che migliorare. Se il chip, anziché nell’occhio, viene installato all’interno di un braccio o di una gamba artificiale, può raccogliere le stimolazioni nervose che ancora arrivano all’estremità di un arto amputato anche anni dopo che la menomazione è avvenuta, traducendole in ordini di movimento per l’arto meccanico. Un ragazzo americano, Matthew Nagle, rimasto paralizzato dal collo in giù per una coltellata, è diventato il primo uomo capace di muovere gli oggetti con il pensiero grazie a un chip, questa volta impiantato direttamente nel cervello.

Gli impulsi nervosi della sua mente vengono captati dagli elettrodi e tradotti in comandi per un cursore che si muove sullo schermo di un computer. Semplicemente pensando di farlo, Matthew Nagle riesce a scrivere mail, a giocare con semplici videogame o azionare una mano robotica. Ma anche senza penetrare nella sacralità della scatola cranica, un normale elettroencefalografo applicato sui capelli è in grado di raccogliere alcuni degli impulsi nervosi generati dal cervello. I segnali provenienti dai neuroni possono essere sfruttati per guidare una sedia a rotelle. La sua traiettoria è ancora poco precisa, ma l’affinamento della tecnica sarà l’obiettivo degli sforzi del futuro.

Se la maggior parte dei cyborg cerca di integrare circuiti di silicio all’interno del corpo umano, non mancano neanche i tentativi di percorrere la strada opposta. Ne è un esempio l’ambizioso progetto di riprodurre il funzionamento del cervello in un enorme, potentissimo computer. Human Brain Project - questo il nome dell’iniziativa coordinata dal politecnico di Zurigo, ma alla quale partecipano anche diversi istituti scientifici italiani - vuole ricostruire entro il 2023 l’architettura dei cento miliardi di neuroni che compongono il cervello umano. Fallace, inaffidabile, ma ancora impossibile da imitare. «Quand’anche riuscissimo a riprodurre con la massima fedeltà il funzionamento del complesso dei neuroni su silicio- conclude Gabbrielli- potremmo dire di aver ricreato un cervello umano? Secondo la scuola dei funzionalisti la risposta è positiva, ma la questione è in realtà molto controversa. Per rispondere, dovremo prima capire chi siamo. E quali sono i confini della nostra coscienza».