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 2012  gennaio 28 Sabato calendario

Bettiza: “Il silenzio tra me e Buzzati” – Cuore di Milano. In un minimo raggio stanno la fortezza del Corriere ; la Scala dove, ostinata, resiste la paura dei Morzi; il Duomo dolomitico

Bettiza: “Il silenzio tra me e Buzzati” – Cuore di Milano. In un minimo raggio stanno la fortezza del Corriere ; la Scala dove, ostinata, resiste la paura dei Morzi; il Duomo dolomitico. Ma cercarvi Dino Buzzati sarebbe vano. Non perché se ne sia andato, giusto quarant’anni fa, con il suo reggimento - in lui i confini fra vita e morte così labili, così indefiniti, così, infine, irriconoscibili. No, il doverista del fantastico è semplicemente «altrove», di sicuro all’isola del Giglio, nelle vesti così sue del cronista. Un testimone del crocieristico pasticciaccio. Acqua, rocce, cielo gli saranno sembrati «solitari e immensi». Nello scoglio fatale avrà riconosciuto la forma del drago o dell’orco. Né avrà esitato a sostenere lo sguardo delle gelide Parche che hanno tramato. E a degradare il comandante che ha deturpato la tradizione marinara, il rovescio della figura ideale, «esigente dagli altri come da sé; circonfuso, agli occhi dei suoi uomini, da una luce vagamente di favola». Nel cuore di Milano, specchiandosi anche topograficamente in Guido Piovene, il suo maggiore (abitava qui accanto, in Palazzo Belgioioso), Enzo Bettiza, il Saint-Simon di via Solferino, rivà al tenente Drogo, il remoto, mai dischiuso compagno di menabò. La memoria mai sbiadita di «una relazione quasi statica»: «Il primo incontro: mi apparve, nello stesso tempo, interessato e signorilmente distratto». 1952, Bettiza ha sedimentato il giovanile morbillo comunista nella Campagna elettorale , un titolo desanctisiano. «Buzzati mi aiuterà a pubblicare il libro dopo la consacrazione singolare del premio Hemingway. Singolare perché? Giacomo Debenedetti e Elio Vittorini pollice verso, Remo Cantoni e Buzzati pro (Buzzati specialmente entusiasta). In posa pilatesca il presidente Alberto Mondadori. Ne sortì un verdetto bizzarro: segnalazione al pubblico e alla critica, non una lira - come mi sarebbe servita -, non contemplato il visto si stampi. Sarà Dino a orientarmi verso una piccola casa genovese, Bianchi-Giovini. Fra gli estimatori del mio voyage, Fortini: “Finalmente una critica da sinistra al partito dei dittatori”». Buzzati, la vita come milizia. Piovene ne identificò lo «stoicismo militare», spiegando: «Il suo militarismo era amore per la disciplina rigida, per la obbedienza volontaria». «Subito mi domandò - ricorda Bettiza -: “Lei ha fatto il militare?”. Accolse la risposta negativa - in breve gli raccontai il mio destino esule - con un silenzio di almeno venti minuti. Ma non fu questo il motivo per cui non entrai subito al Corriere : riteneva fossi troppo giovane. Il praticantato - il corso di addestramento, secondo il suo lessico - lo feci a Epoca ». Buzzati muore il 28 gennaio 1972, alle quattro e venti del pomeriggio, in una città innevata, di là da venire lo scenario ideale, «la prima estate», le sere incantevoli in cui assicurò - «perfino Milano riesce a recitare la parte di città romantica: con le strade quiete e semideserte, il profumo dei tigli che usciva dai giardini, una falce di luna in mezzo al cielo». Di lì a due anni, se fosse sopravvissuto, avrebbe con l’altra argenteria del Corriere traslocato al Giornale , seguendo i timonieri Montanelli e Bettiza? «Non so - è cauto Bettiza -. Di sicuro non avrebbe potuto coabitare con Giulia Maria Crespi e con Piero Ottone». Buzzati e il suo Corriere . «Lui - lo scandaglia Bettiza - anarchico conservatore, sentinella di uno stile, di un edonismo, che aveva un sottofondo duplice, torbido ed etico insieme, apparteneva alla penultima generazione di scrittori-giornalisti di via Solferino. A Montanelli che gli faceva notare come - Buzzati e Piovene, in primis, nella medesima stanza “scribacchino”, tra un articolo e l’altro, “oscuri romanzi”, il critico teatrale Renato Simoni svelò: “Attento, scrivono di assassini e di assassinî. Non vorrei che facessero una prova su di te”». Il conservatore Buzzati. Conservatore sui generis, come Piovene. Piovene non scandalizzato, anzi, da un «conservatore illuminato» che «accetti con sincerità il comunismo», essendo «le rivoluzioni anche un mezzo per conservare». Buzzati che, in avvio degli Anni Sessanta, mostrava di comprendere il fascino «disciplinare» esercitato dal partito comunista («Quando vi si entra si sa che cosa fare, dove andare»). «Piovene - osserva Bettiza tendeva a confondere, assimilando il comunismo - quel comunismo reale - e lo spirito russo. Lo attraevano certi ristoranti segreti, il treno tipo Anna Karenina Mosca-Leningrado, la durezza verso l’arte moderna. Pure in Buzzati tale commistione farà breccia, vellicandone le pulsioni più tradizionali». Bettiza, che come Buzzati ha sognato di diventare un grande pittore, è uno scrittore incardinato nella Storia (da Il fantasma di Trieste aEsilio ). Ancorché capace di narrare alla Buzzati, magistralmente, magicamente - sul filo di un realismo irreale - l’avvisaglia di commiato dell’antico collega: «Già ingiallito dal male, stanco di aspettare in piedi l’udienza del direttore (Spadolini, ndr), Buzzati si era fatto portare da un fattorino una sedia... In quel corridoio tirato a lucido, che evocava un deserto, si poté vedere per oltre un’ora un rigido ometto magrittiano dal viso ocra, tutto vestito di nero, che con sguardo assente fissava una piccola luce rossa davanti a sé». Palazzo Belgioioso; la casa di Don Lisander; in via Manzoni (e dove se no) la cuna di Gadda. A un soffio via Bigli, Montale, l’upupa, l’ilare uccello calunniato che Buzzati scorgerà alla Scala («le povere marchese Marizzoni si tenevano rigide e compassate come upupe»). Di passo letterario in passo letterario, sostando nella antica barbieria Colla di Franco Bompieri, qui riandando a un’istantanea del visionario veneto-lombardo (Buzzati bellunese, classe 1906): capelli scalati, scolpiti, aghiformi, l’espressione pensosa, i tasti della macchina per scrivere che obbediscono come tanti soldatini. Meditando l’estrema beffa, come il tenente Drogo o come un borghese stregato: «Ti ho vinto, miserabile mondo, non mi hai saputo tenere».