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 2012  gennaio 28 Sabato calendario

UN SENTIERO STRETTISSIMO


La crisi dell’area euro è stata a un passo dall’avvitarsi, ha spiegato ieri Mario Draghi; ora si avvertono consistenti segnali di sollievo, ma la strada per uscirne resta ancora lunga. Le discussioni di Davos mostrano una Germania isolata culturalmente nel mondo; rivelano tuttavia anche una diffusa, persistente sfiducia che nel suo insieme il Meridione d’Europa possa evitare il declino. Le decisioni dell’agenzia di rating Fitch ieri, tardiva coda di un pessimismo che sui mercati è in ritirata, possono essere utili a ricordare quanto è facile una ricaduta.
L’ Italia gode di un momento di attenzione favorevole, deve stare molto attenta a non sciuparlo. Ai giudizi positivi sulle azioni del suo governo si aggiungono gli esiti buoni di successive aste dei Bot, che fanno sperare per una prova più difficile, l’asta dei Btp lunedì. Se davvero nel fine settimana si raggiungesse un accordo sul debito della Grecia, come le autorità europee sperano, potremmo tutti tirare un poco il fiato.

Non certo nel senso che le fratture nell’area euro siano sanate, nel senso che abbiamo il tempo necessario per farle guarire.

Da parte sua il presidente della Banca centrale europea si muove su un sentiero strettissimo. In cuor suo Draghi è forse più vicino a quanto consigliano all’Europa il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner, suo vecchio amico, o la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde; nei comportamenti deve tenere unita l’istituzione che dirige, evitando che la stampa popolare tedesca gli tolga quell’elmetto prussiano inopinatamente dipintogli in testa quando ormai la sua candidatura all’Eurotower di Francoforte si stava facendo invincibile.

Nel mondo, appunto, nessuno crede che l’area euro si possa salvare con la cura di sola austerità che la Germania prescrive. Il Fmi, gli Stati Uniti, gran parte degli economisti dei cinque continenti sostengono che ai Paesi indebitati è necessaria ma che invece i tedeschi potrebbero evitare di imporla a sé stessi; che insomma Angela Merkel potrebbe ridurre le tasse nel momento in cui Mario Monti è costretto ad aumentarle. Niente da fare; secondo il ministro dell’Economia di Berlino Wolfgang Schaeuble, il successo economico della Germania è dovuto proprio al fatto che sa essere austera.

Draghi al contrario non si illude: le misure di austerità hanno, stanno già avendo, forti effetti recessivi. Ma come evitarli? Pragmatico quale è, il presidente della Bce sa che per smuovere la Germania occorre ripristinare la fiducia che tra i Paesi dell’euro si è persa; la solidarietà si otterrà solo dopo avere stabilito regole severe e credibili. Quanto più rapidi ed efficaci saranno i passi dei governi verso una politica di bilancio comune (fiscal union, in inglese) tanto meglio sarà.

La Banca centrale europea nei primi cento giorni di Draghi ha svolto un ruolo importante: fornendo alle banche tutta la liquidità necessaria ha evitato – questo si è capito ieri – una carenza di credito alle imprese che avrebbe precipitato l’area euro in una recessione assai dura. Ora, per la prima volta negli ultimi giorni alcuni indicatori economici tornano a puntare verso l’alto: la causa viene probabilmente da lì. Resta tuttavia l’interrogativo se la Bce possa fare ancora di più, come molti membri tra i 23 del suo consiglio direttivo ritengono, contrari i due tedeschi e pochissimi altri; Draghi non l’ha sciolto.

Rimane il rischio che la Germania, avvinghiata a dottrine economiche che buona parte del mondo considera superate, finisca per credersi vittima di un «complotto anglosassone» per accollarle i debiti del Meridione d’Europa. Il ritorno di fiducia nell’Italia può aiutare: allunga i tempi a disposizione perché il lento meccanismo europeo produca misure condivise.