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 2012  gennaio 29 Domenica calendario

ALL’ASTA LO CHIC DEI DITTATORI. VENDUTI I CIMELI DI CEAUSESCU

Che tristezza la pelle di leopardo, dono di un innominato presidente africano, che qualcuno si è portato a casa per 3.750 euro. E il megatappeto con il ritratto della famiglia che stava nel Palazzo del Popolo, prezzo di partenza 800 euro? E la penna da duemila euro che il dittatore rumeno ottenne da un viaggio in Giappone nel lontano 1975? Che tristezza, l’asta degli oggetti appartenuti a Nicolae ed Elena Ceausescu deposti e fucilati nel 1989. Si è tenuta due giorni fa a Bucarest, la prima in dieci anni, e ne ha parlato anche la Bbc. Fortuna che c’era quello yak di bronzo, regalo del leader cinese Mao Zedong, ad alzare il livello: l’anonimo compratore ha fatto sua la statua del bue peloso per 12 mila euro. Un certo interesse l’hanno suscitato anche le colombe in argento provenienti dallo Shah di Persia. E poi poster, medaglie, foto, bandiere (alcune con l’effigie di Stalin e Lenin) vecchie di 70 anni, memorabilia del mondo prima della caduta del Muro: «I poster sono superbi», ha raccontato estasiato all’agenzia Ap un compratore arrivato fin dal Canada per gli ultimi cimeli Ceausescu, pezzi già sbolognati a suo tempo dallo Stato rumeno e ora rimessi in vendita da privati per un’asta dal nome prezioso: «L’Età dell’oro».
Anche se tra i cimeli Ceausescu ce n’era poco, la citazione del metallo giallo è d’obbligo. L’oro non è solo il bene rifugio (un tanto all’oncia) in questi tempi di crisi. È la materia prima (un tanto al chilo) delle case dei dittatori di ogni tempo, da Bokassa a Kim Jong-il: con il marmo e il cristallo, l’oro è l’immancabile ingrediente di quello che proprio ieri Peter York sul Financial Times ha descritto come il «despot decor». Nel 2005 York ha pubblicato un libro sullo «stile despota» intitolato «Le case dei dittatori», un viaggio fotografico nelle abitazioni di 16 tiranni da fine Ottocento al Duemila, dalle spartane stanze di Lenin ai sessanta palazzi di Saddam Hussein con le loro stanze-hangar, le porte a forma di aquile gigantesche e i rubinetti di brillanti. Se dovesse aggiornare l’opera con un capitolo sull’attualità, il primo pezzo da inserire sarebbe il sofà trovato a Tripoli nell’abitazione di Aisha Gheddafi, la figlia del Colonnello, con lo schienale a mo’ di sirena-polena in oro che riproduce i lineamenti della proprietaria. Lo stile Gheddafi, per il resto, si rivela agli occhi dell’esperto abbastanza modesto, modello anni 70, come il camper-rifugio. Il finto pauperismo beduino si stacca dal classico gusto del dittatore, la cui residenza è fatta sempre per «impressionare» e «intimidire» il visitatore al primo sguardo. Studiata «in modo da rafforzare il culto della personalità» con uno stile che però deve risultare allo stesso tempo molto «impersonale», mai casalingo-privato. In questo Gheddafi si atteneva al manuale standard: oro ovunque, mobilio in stile francese (ma mai di antiquariato perché fa vecchio e polveroso), immagini eroiche di animali e foto del capo con altri leader mondiali.
Caduto il tiranno (vedi Primavera araba), cosa resta del suo modello di arredamento? In soffitta? Tutt’altro. Secondo York il «despot decor» sta diventando «trendy» in luoghi dove meno te l’aspetti: nelle grandi città occidentali e in particolare a Londra. Che il leopardo di Ceausescu sia finito in un salotto di Mayfair? Senza fare nomi, il Financial Times parla di parenti e sodali di dittatori in disgrazia che in tempi recenti hanno trovato dorato rifugio nella capitale britannica. E di nuovi ricchi che abbracciano «lo stile despota» in chiave high-tech: al posto degli animali impagliati di cui si circondava il maresciallo Tito o del sofà di Aisha, vanno di moda enormi ambienti bianchi con i grandi schermi, le maxi fotografie sexy in bianco e nero, legni pregiati e pelle di balena, mobili italiani, le opere giganti di artisti come Damien Hirst e Jeff Koons. Questo sarebbe «lo stile dominante» nelle case dei potenti. Se è così, ridateci lo yak di Mao.
Michele Farina