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 2012  gennaio 29 Domenica calendario

DA PIRANDELLO A PASOLINI. QUELLA CARTA CHE DICE TUTTO DI NOI - A

voler essere precisi, ora che la data di scadenza della carta d’identità coincide con il nostro compleanno, una volta ogni decennio saremmo costretti a festeggiare il nostro genetliaco in coda negli uffici comunali per il rinnovo. A non essere precisi, ci si potrà pensare il giorno prima o si potrà aspettare il giorno dopo. Ma è un fatto che la carta d’identità con scadenza fissa nel giorno di nascita diventa un documento di riconoscimento al quadrato, ancora più personale, individuale, inconfondibile. Inequivocabilmente nostro.
Essendo da sempre uno degli oggetti più intimi che si conoscano, perderla significherà ancor di più, appunto, smarrire la rassicurante possibilità di essere identificati non solo come cittadini ma anche come esseri umani in vita. Mattia Pascal, il personaggio di Pirandello, si dissolve davvero quando si accorge di non essere in possesso di alcun documento che ne identifichi le generalità: è lì che diventa un fantasma per gli altri e dunque anche per sé. Prima cosa da fare, per sparire come si deve, buttar via la carta d’identità, diventare un sans-papier. Se invece volete star certi di essere in vita, vi tocca conservarla con cura, riporla senza pieghe, qualche volta stirarla, parlarle ogni tanto e magari accarezzarla. Perché si tratta di un documento di riconoscimento dell’individuo da parte della società, ma alla fine è anche un motivo di riconoscenza da parte dell’individuo alla comunità che l’ha accolto in sé.
Un tempo la tela fine si sfilacciava, e tirando i fili eccedenti, il documento poteva anche disfarsi all’improvviso davanti ai nostri occhi smarriti come la nostra stessa identità. Per questo, era un sollievo correre dal cartolaio per chiedere di plastificarla: il sollievo di sapersi in qualche modo socialmente immortali, non più bio— (o socio—)degradabili. Ora la carta tende a sbriciolarsi e non c’è protezione che tenga, visto che dalla metà degli anni Novanta la legge ha disgraziatamente proibito il ricorso alla plastica.
Certo, le carte del Regno avevano un’eleganza e una precisione lessicale che oggi non hanno. Gli attuali Segni particolari erano allora Connotati e contrassegni salienti che richiedevano di definire con un aggettivo il Colorito (in genere «sano» o «naturale»), ma anche la Corporatura («esile», «media», «robusta» o «possente»), il Naso, la Fronte, la Bocca («giusta» o «regolare»), persino il Mento. E non bastava la Paternità, bisognava definire anche nome e cognome della Madre (del resto «mater semper certa»…). La Professione femminile più diffusa veniva definita non con il termine «Casalinga» ma con la locuzione «Attendente alla casa». A proposito di professione, non si può negare che la carta d’identità finisce per rappresentare anche uno status symbol, grazie al quale ciascuno può esibire il proprio livello sociale oppure vergognarsene, come capitava ai ragazzi sottoproletari dei prima anni Settanta se è vero, come scrisse Pasolini, che quei muratori, operai e garzoni cancellavano nella loro carta d’identità il termine esatto del loro mestiere per sostituirlo con la qualifica più nobile di «studente».
Insomma, la carta d’identità conteneva molto più di quel che contiene oggi. I vecchi (i nostri nonni nati all’inizio del Novecento) la chiamavano spesso «tessera» tout court. Di fronte all’ingiunzione di un agente «Giovanotto, fuori i documenti», un personaggio di Moravia «cava di tasca la tessera d’identità». Poi probabilmente la tessera per antonomasia è diventata quella del partito: fascista prima, democristiano, socialista, comunista… in seguito; si è passati così alla formulazione burocratica. Non senza difficoltà: vi ricordate l’ostinazione con cui Pappagone inciampava nella «carta d’indindirindà»? Mentre Vincenzo Monti parlava genericamente di «carte di ricognizione», il primo a citarla in un’opera letteraria è lo scrittore napoletano Vittorio Imbriani, verso la metà dell’Ottocento, ma bisognerà aspettare il pieno Novecento perché l’identità della carta d’identità si affermi davvero.
D’ora innanzi sarà più semplice operare le variazioni: dai capelli «castani» si potrà passare facilmente ai capelli «brizzolati», e magari pure le fotografie in cui non ci riconosciamo più (e soprattutto gli altri non ci riconoscono più) saranno sostituibili velocemente. Eccolo lì, il vero, più profondo significato della carta d’identità: in fondo è l’attestato impietoso, di dieci anni in dieci anni, del tempo che passa. Se potessimo conservarle tutte, vi troveremmo registrata la nostra biografia essenziale, fino all’ultima scadenza. Non più rinnovabile.
Paolo Di Stefano