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 2012  gennaio 28 Sabato calendario

IL PROCESSO MILLS È UN TALE SCHIFO CHE VA STUDIATO NELLE UNIVERSITÀ


Il processo Mills fa veramente schifo, andrebbe studiato nelle università, è un campionario delle peggiori mostruosità formalistiche mai partorite dalla nostra giustizia, è la degenerazione dell’abnorme discrezionalità che può sospingere un processo e nondimeno delle abnormi cavillosità che possono respingerlo: le tesi dell’accusa e della difesa sono entrambe fragili e fallaci, indimostrabili, istruite da consulenti tecnico-finanziari, castelli di carte incollate con liberi convincimenti, niente che superi la dignità dell’indizio e niente che serva la giustizia intesa come interesse della collettività. È un processo caricaturato, irreale, lontano anni luce dalla quotidianità dei tribunali, una sfilata di magistrati arroganti e querimoniosi contrapposti ad avvocati arroganti e querimoniosi, c’è l’ombra della politica dappertutto, qualcosa che in qualsiasi caso – lo sanno anche i sassi – da un punto di vista giudiziario non servirà a nulla, perché l’ipotesi di reato andrà in prescrizione certa. L’unica disputa riguarda la possibilità che vada in prescrizione prima o dopo la sentenza di primo grado, quella che i pm inseguono disperatamente - sanno tutti anche questo - perché in caso di condanna rimanga come uno sfregio morale ai danni dell’incensurato Silvio Berlusconi.
L’ultimo paradosso l’ha ben raccontato Luigi Ferrarella sul Corriere di ieri. Per poter giungere a sentenza in tempo utile – ma anche su questo, sulla scadenza della prescrizione, la disputa è aperta – giovedì sera i giudici hanno improvvisamente deciso che siano «superflui» tre testi che dapprima, sin dal luglio scorso, avevano ritenuto utili. Giovedì mattina i giudici hanno pensato di sentire i testi il 31 gennaio o in opzione il 4 febbraio, date poi rivelatesi impraticabili: allora hanno deciso che erano superflui, e questo – hanno candidamente ammesso – a causa «dell’imminente prescrizione» da evitarsi entro l’11 febbraio, data ultima che a loro dire separa il processo dalla prescrizione.
Resta una schifezza comunque la si guardi. Da una parte la prescrizione viene trattata come un destino calato dall’alto e non come una sconfitta dello Stato: inseguirla è nel pieno diritto delle difese e questo si traduce in una premialità per chi perda tempo e allunghi all’inverosimile la brodaglia dibattimentale. Ma se è vero che le difese sfruttano ogni strumento disponibile anche con manifesta pretestuosità procedurale, i giudici non sono da meno. Il gup del processo Ruby, per dire, cambiò la data del presunto reato e la posticipò da settembre a dicembre 2009, evitando così che il processo venisse spostato a Messina e rimediando a un clamoroso autogol dei pubblici ministeri: e dire che erano stati loro, concordando tra l’altro con gli avvocati, a sostenere che «l’induzione alla prostituzione » dovesse datarsi a quando Emilio Fede andò ad arpionare Ruby appunto a Messina, durante un concorso di bellezza. Ma poi il gup spiegò improvvisamente che l’approccio di Fede, a Messina, corrispondeva soltanto ad «atti prodromici e preparatori non penalmente rilevanti», mentre quelli rilevanti sarebbero cominciati dopo, a dicembre, ad Arcore. Così si è andati a processo il 21 novembre scorso. Tanta disinvoltura riporta al processo Mills, quando i giudici, per salvare il reato dalla prescrizione, s’inventarono che doveva decorrere da quando Mills aveva cominciato a spendere i soldi e non da quando li aveva ricevuti. Eppure era stata la stessa pubblica accusa, da principio, a sostenere che l’eventuale corruzione sarebbe dovuta decorrere a partire dal 1998, quando cioè l’avvocato Mills ha avuto la disponibilità dei famosi 600 mila dollari intesi come supposto regalo proveniente dall’ex Presidente del Consiglio; tuttavia, poi, la tesi del pm Fabio De Pasquale è diventata questa: il reato deve decorrere solo da quando Mills ha cominciato a spendere quei soldi, ossia dal marzo del 2000. Come a dire che, se l’avvocato non avesse mai speso quei soldi, non avrebbe neppure mai consumato un reato. La tesi, incredibilmente, è stata accolta. Anche la prescrizione è un’opinione, dunque. Meglio: un libero convincimento.

Filippo Facci