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 2012  gennaio 29 Domenica calendario

La guerra No Tav ha fatto più di 200 feriti – Assistente capo Giuseppe V., frattura della scapola: due mesi di prognosi

La guerra No Tav ha fatto più di 200 feriti – Assistente capo Giuseppe V., frattura della scapola: due mesi di prognosi. Assistente Angelo C., frattura del pollice: 35 giorni. Vice questore aggiunto Domenico F., le­sione anulare sinistro: 40 giorni. Agente scelto Gaetano G., lussazio­ne spalla sinistra: 20 giorni. Briga­diere capo Salvatore S., frattura pollice: 25 giorni. Sovrintendente Mario P, frattura mano: 35 giorni. Vice brigadiere Luigi D. M., trau­ma cranico: 20 giorni. Finanziere Francesco C., trauma polso: 15 giorni. Appuntato Vincenzo I., con­tusione braccio sinistro: 14 giorni; finanziere Pasquale P., contusio­ne piede e denti rotti: 10 giorni. La lista delle divise uscite malconce dalla «tonnara» No Tav di Chio­monte prosegue con altri 215 refer­tati al pronto soccorso distribuiti equamente tra poliziotti, carabi­nieri e finanzieri massacrati a sas­sate, bastonate, molotov, bulloni, bombe carta,calci,pugni,cinghia­te. Un centinaio i rappresentanti dello Stato maltrattati da ex brigati­sti e teppisti recidivi, che pur am­maccati dal tiro al bersaglio dei no global-No Tav hanno preferito te­nersi le botte senza farsi medicare. Proprio per non dare scuse ai bamboccioni dei centri sociali, Ce­lere e Battaglioni hanno fatto i ma­nichini. Schierati in assetto di guer­ra ma come ormai da codarda pras­si italica costretti – come scrive la Digos in un’informativa riepiloga­tiva degli scontri- solo ad «assorbi­re l’attacco che è avvenuto a fred­do e deliberatamente », senza pos­sibilità di reazione nemmeno con il lancio di lacrimogeni, fintamen­te utilizzato dai black bloc e dai lo­ro supporter politici come «ele­mento giustificativo delle violen­za » per poter tornare ad attaccare a testa bassa. Alla fine, il bilancio ospedaliero contenuto nelle note dell’antiter­rorismo di Torino è da brividi: «Ol­tre 220 appartenenti alle forze del­l’ordine hanno riportato lesioni, ovvero sono stati costretti a ricorre­re alle cure mediche ». Contro le for­ze dell’ordine, negli scontri del 27 giugno e del 3 luglio, sono state uti­lizzate «armi improprie e strumen­ti prodotti anche artigianalmente (tipo fionda, fromboli e bulloni con inseriti grossi petardi)» con il solo scopo di «arrecare maggior danno fisico agli operatori di poli­zia ed ai mezzi loro in uso ».Non c’è scappato il morto solo per caso. E solo le «protezioni del personale dei Reparti inquadrati, la loro abili­tà tecnico-operativa ed una sa­piente pianificazione e conduzio­ne sul campo hanno fatto sì che le conseguenze non fossero ancor più tragiche». Anche se sarebbe stato difficile fare più danni di così. Quello che la Digos descrive, a proposito degli assalti alla centra­le elettrica e al cantiere, sembra un capitolo dell’ Arte della guerra di Sun Tzu: «I manifestanti del 3 lu­glio, travisati ed attrezzati di tutto punto (maschere antigas, botti­glie molotov, scudi in plexiglass, fionde, fromboli, etc.) hanno pro­ditoriamente raggiunto l’area retrostante il museo per avvantag­giarsi della fitta boscaglia e sferra­re un attacco violentissimo contro le forze dell’ordine». L’ordine è di abbattere il nemico: la morsa si stringe su poliziotti, carabinieri e fi­nanzieri perché sono loro il rivale. Nella prima ora di scontri, infatti, «saranno stati circa una ventina gli operatori» costretti alla corsia d’ospedale. Attacchi proditori, perché «nessuna pressione posso­no l­amentare i manifestanti ed i fa­cinorosi che, assolutamente fuori degli schemi della manifestazione preannunciata, hanno deliberata­mente attaccato cantiere e forze dell’ordine»;attacchi di ecceziona­le gravità che «non trovano parago­ne alcuno con recenti analoghe contingenze di ordine pubblico, se si escludono i gravi fatti avvenu­ti in Roma in data 15 ottobre ». «Per quasi tre ore», i black bloc hanno cercato «in ogni modo di attingere con i lanci i reparti dislocati alla centrale elettrica, anche inoltran­dosi lungo il fiume per colpirli, da lontano, alle spalle». E, anche in questo caso, l’ordine impartito agli uomini era di ridurre «al mini­m­o il rischio di contatto con i mani­festanti », permettendo così «di contenere il numero di feriti» ma provocando «comunque ingenti danni ai mezzi in dotazione ed alle strutture fisse del cantiere». Nes­s­un attacco che giustificasse la rap­presaglia dei manifestanti, dun­que, visto che «l’apparato di sicu­rezza dispiegato, anche alla luce dell’esperienza maturata in occa­sione di eventi similari, si è ispira­to prioritariamente alla difesa del sito, arginando i tentativi di sfon­damento proditoriamente effet­tuati ». Concludendo: «I numerosi feriti testimoniano della gravità dei comportamenti di chi, in un delirio violento, ha voluto o, nella più generosa delle improbabili ipotesi, non può non aver previsto le più gravi conseguenze del pro­prio agire». Gian Marco Chiocci e Simone Di Meo