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 2011  ottobre 05 Mercoledì calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 207 - LA SICILIA È CONQUISTATA

Depretis prodittatore a Palermo...

Prima di imbarcarlo per la Sicilia, Cavour gli spiegò che bisognava fare l’annessione a tutta velocità, e per questa ragione gli consegnò un decreto con la data in bianco in cui, essendo fatta l’annessione, veniva nominato regio commissario. Depretis disse di sì, ma, giunto a Palermo, non fu capace di resistere a Crispi. L’annessione non si fece. A Torino continuavano ad arrivare rapporti catastrofici, ma scritti con un certo tono rassegnato. Non c’era più il piglio di La Farina. « Circolano nelle carrozze di corte Alberto Mario e miss White… Non sono dubbie le intenzioni de’ mazziniani che circondano il Dittatore. Essi chiamano il suo affetto pel re un resto di debolezza...».

Chi era che scriveva adesso queste cose?

Per esempio Filippo Cordova, un catanese massone che aveva fatto il giornalista al «Risorgimento». Cavour stava incoraggiando il rientro degli esiliati, per aver più uomini suoi a Palermo. Cordova era stato autonomista nel ‘48 ed era annessionista adesso. Aveva avuto una discussione con Cavour sulla faccenda del separatismo e s’era sentito rispondere: « Non crede Ella, che, ammesso un parlamento separato in Sicilia, i risultati sarebbero distruttivi della presente italianità dell’isola?». Adesso era lui il capo del partito cavouriano in Sicilia, quello che doveva sostenere Depretis. Definì Garibaldi uno « che combatte come un usignolo, e perciò a perfezione, ma nulla sa e pensa; tanto che avea persino dimenticato, alla partenza per Milazzo, di aver chiamato Depretis da Torino... ». Raccontò di altri scontri tra cavouriani e garibaldini. « Sabbato in mia presenza scandalo in Toledo, a causa di un Garibaldino in tunica rossa, veneziano ubbriaco, che voleva far togliere da una vetrina il ritratto dell’E.V., e poi rivolto a quello del Re gridava: “Non ci è bisogno di Re”: la sua doglianza era che “i Cavourriani vengono a prendersi i gradi senza aver combattuto con Garibaldi”; la scena finì con un pugno di un facchino palermitano che lo stese per terra ».

Come accolse Depretis?

Scrisse che « tutti i buoni e gli intelligenti sono in festa ». Ma poi il prodittatore lo deluse. Non era solo questione che si fosse fatto metter sotto da Crispi. « Depretis non può ancora conoscere la Sicilia e i Siciliani; questi, simili in ciò ai Sardi, ma con popolazione, ricchezza, e intelligenza più che quadrupla, restano silenziosi quando gli argomenti che si oppongono alle loro rimostranze non li convincono; ma non bisogna credere che cedono perché tacciono! Inoltre la Sicilia è sempre un poco quella che era al tempo di Olivares, viceré spagnolo, che scriveva nelle Istruzioni ai suoi successori: “qui coi Baroni si può tutto, senza essi non si può nulla...” . « Depretis, colpa forse per la sua falsa o per lo meno difficile situazione, non ha fatto grandi conquiste nella opinione. La “società scelta” non gli risparmia i suoi “beaux-mots”. Essa ride, perché il prodittatore si rivolse al “fontaniere” Lauriano, capo-popolo, per conciliarlo a Crispi. Il capo-popolo in Sicilia è sempre lo agente di uno o più individui delle alte classi. Infatti il Lauriano si dichiarò organo del giovane principe D. Antonio Pignatelli, conosciuto col nome di “Totò Monteleone”, col quale il Governo ha più volte alternato in pochi giorni le paci e le guerre ... « Sono tutti con Lei, per criterio i meno, i più per istinto e reazione alla dittatura o piuttosto al Garibaldinismo. La quale reazione è anche stimolata dai continui discorsi imprudentissimi, de’ Lombardi specialmente, che non la finiscono col “Milangh”, e de’ Genovesi... ».

Garibaldi intanto avanzava sul resto della Sicilia, no?

Sì. L’avanzata garibaldina si svolgeva in tre direzioni. Türr (che poi fu sostituito da Eber) fece sosta a Caltanissetta e il 15 luglio raggiunse Catania. Anche Bixio arrivò a Catania attraverso Corleone, Girgenti, Licata, Terranova, Caltagirone. Medici puntò direttamente su Messina e a Milazzo si svolse poi la battaglia decisiva. Otto ore di lotta in cui i garibaldini, non potendo applicare la tattica preferita della carica alla baionetta, ebbero molte perdite. Ottocento tra morti e feriti contro 150 borbonici. Ma vinsero e le truppe del re di Napoli acconsentirono a ritirarsi sul continente e a lasciare così Messina a Garibaldi. Tutta la Sicilia, adesso, era conquistata. Come sa, perché abbiamo già citato la lettera che Cavour scrisse a questo punto, la conquista della Sicilia e il prossimo passaggio dei garibaldini sul continente misero Cavour in grande agitazione: se non si faceva qualcosa, la corona in capo a Vittorio Emanuele II avrebbe brillato solo della luce riflessa dal Generale. «Per rassodare il trono, il Re dovrebbe salire a cavallo e tentare di offuscare l’impresa siciliana con la caduta del Quadrilatero. La presa di Verona e di Venezia farebbero dimenticare Palermo e Milazzo». Ma erano fantasie.