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 2011  ottobre 05 Mercoledì calendario

FIDUCIA DA RISTABILIRE - È

dallo scorso 21 maggio che i rating dell’Italia traballano, scricchiolano, scendono gradino dopo gradino per calarsi sui piani più bassi della scala dei voti sullo standing creditizio sovrano, passando da una solida doppia "AA" alle deboli singole "A" e "A2" di Standard & Poor’s e Moody’s. Dopo anni di stabilità sulle pagelle degli esperti del credito, sulla quale in verità gli investitori stranieri possessori di BTp avevano iniziato a dubitare fin dallo scoppio della crisi greca nel 2010, il rating dello Stato italiano ha imboccato la strada del declassamento, dalla quale non riesce più ad uscire. Da quando Standard & Poor’s,
il 20 maggio scorso, decise di modificare l’outlook da stabile a negativo sull’allora "A+"
della Republic of Italy, per i
voti sull’affidabilità creditizia dello Stato italiano non c’è
stata tregua. Fino al taglio senza precedenti di tre "notches" inferto ieri da Moody’s con l’aggravante: l’outlook che resta negativo.
Il 17 giugno, dopo S&P’s, è intervenuta Moody’s che ha raggelato il mercato ponendo sotto osservazione con minaccia di declassamento il rating italiano "Aa2": incurante delle prassi alle quali aveva abituato il mercato, ha fatto scattare la procedura veloce "under review" scavalcando
le prospettive all’epoca
ancora stabili. Cancellando
il preavviso tradizionale dell’outlook che per i rating sovrani, nei tempi remoti pre-crisi, veniva innanzitutto modificato da stabile a negativo per scandire il ritmo di un tracollo diverso dalle società corporate o dalle banche.
In piena crisi del debito sovrano, ora gli Stati vengono retrocessi da Moody’s per più notches in un solo colpo:
l’Italia è l’ultima di una serie, dopo l’Irlanda (5 gradini), il Portogallo (4 gradini), la Grecia (tre gradini a più riprese). Non c’è nulla di cui sorprendersi nel mondo del merito di credito del settore pubblico, equiparato oramai al settore privato. Allo scadere dei convenzionali 90 giorni del review sulla "Aa2", a metà settembre Moody’s ha rinviato la decisione di un altro mese, giorno più giorno meno: allungando l’agonia dei BTp, assicurati intanto dalla salda rete di protezione degli acquisti Bce sul mercato secondario. In questo limbo, il 20 settembre
è arrivata letteralmente come una doccia ghiacciata la brusca retrocessione di S&P’s, con l’Italia calata dalla "A+" alla "A": il mercato dava per scontato questo declassamento, un notch era ritenuto inevitabile, ma non in tempi così rapidi. L’outlook negativo di Standard & Poor’s è invece durato per l’occasione solo quattro mesi, e non 18-24 mesi come aveva messo in conto il mercato. La stessa agenzia S&P’s, per non cogliere di sorpresa il trading sui BTp, ha diramato il
primo luglio un comunicato esplicativo per avvertire l’Italia, e soprattutto il Governo Berlusconi, sui rischi che correva il balletto delle cifre della manovra che rinviava le misure più forti nel 2013-2014: quegli interventi sono stati ritenuti inefficaci per riportare la traiettoria del debito/Pil su un calo sostenibile e duraturo.
Il calvario del rating S&P’s non è però finito perché alla nuova "A" è rimasta attaccata l’etichetta dell’outlook negativo che potrebbe risolversi con una nuova retrocessione al massimo entro sette mesi in mancanza di novità importanti sul fronte delle riforme strutturali,
su una ritrovata stabilità
politica e governabilità, sul contenimento del costo
del debito pubblico. Stesso discorso per Moody’s, che ha lasciato le prospettive negative.
La mannaia del declassamento continua dunque a pendere sull’Italia. Una minaccia continua che non consente allo spread tra i BTp e i Bund di richiudersi se non come conseguenza degli acquisti, mirati ma puntuali, della Banca centrale europea che tiene a freno il divario sui decennali, quello più seguito e con maggiore risonanza mediatica.
Oltre S&P’s e Moody’s, i riflettori del mercato verranno puntati da oggi sulla "AA-"
di Fitch con prospettive
stabili, distaccata in maniera
stridente dalle due rivali.
Il rallentamento della crescita italiana, che rischia di trasformarsi in una recessione, un Governo Berlusconi che non riesce a ravviare lo sviluppo economico del Paese e l’aumento del costo del debito pubblico sono tutte aggravanti di cui Fitch al momento non tiene conto: in controtendenza rispetto non solo a Moody’s
e S&P’s ma anche alle valutazioni del mercato, riflesse nei Cds dell’Italia
(che il 22 settembre ha toccato
un picco a quota 533 punti) e nello spread ieri non
lontano dal massimo
di 414 punti. La strada dei declassamenti non è però senza uscita: il rating dell’Italia può e deve mirare a una pronta promozione. Ristabilendo la credibilità di un Paese che ha ancora molti punti di forza.