Melania Di Giacomo, Corriere della Sera 04/10/2011, 4 ottobre 2011
PENSIONI ANTICIPATE, FUGA DELLE DONNE
Ha inciso la prospettiva per le donne di dover lavorare cinque anni di più, c’ è poi il blocco triennale dei contratti e tutte le strette sulle pensioni dei dipendenti pubblici degli ultimi anni. Secondo i sindacati anche le incertezze su future manovre hanno pesato sulle decisioni. Fatto sta che nel pubblico impiego è in corso una sommossa silenziosa: nei primi nove mesi dell’ anno - dicono i dati dell’ Inpdap, l’ istituto di previdenza dei dipendenti pubblici - in 75.743 hanno lasciato il lavoro per andare in pensione, il 5,2% in più rispetto al settembre 2010, ma, soprattutto, le pensioni di anzianità sono state del 34% in più, da 34.477 a 52.973. Un dato in controtendenza rispetto al settore privato, dove nei primi 8 mesi del 2011, le pensioni di anzianità sono diminuite del 36,5%. Nel pubblico, come nel privato, se si è almeno a quota 96 (60 anni d’ età e 36 di contributi oppure 61 anni e 35) si imbocca la «finestra» e ci si mette a riposo. E una parte consistente dei prepensionamenti sono da attribuire all’ equiparazione - che scatta dal primo gennaio prossimo - dell’ età per le pensioni di vecchiaia tra uomini e donne nel pubblico impiego decisa nel 2010, per dare seguito a richieste dell’ Unione Europea. Quindi le donne andranno in pensione a 65 anni a partire dal primo gennaio, con uno scalone unico, senza fasi intermedie. Un provvedimento - disse allora il governo - che avrebbe interessato 25 mila donne. Se finora le impiegate andavano in ufficio fino a 61 anni, da gennaio dovranno lavorare fino al sessantacinquesimo compleanno e poi aspettare la finestra di uscita (passate da 4 a una sola all’ anno). Un bello scaglione temporale, e la prospettiva avrebbe indotto a valutare il pensionamento anticipato. Ma per spiegare l’ aumento così vistoso serve anche altro. «Lo Stato sta cambiando le carte in tavola», dice Corrado Mannucci, sindacalista dell’ Ugl e membro del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’ Inpdap. Negli ultimi due anni: blocco degli stipendi, stop del turnover, la possibilità - dal 2009 - per l’ amministrazione di imporre il pensionamento al dipendente con 40 anni di contributi. Di recente i trasferimenti interni e con la manovra di luglio il blocco della buonuscita, che chi va in pensione anticipata percepirà dopo 24 e non più 12 mesi dalla fine del servizio. «C’ è confusione totale e la paura di rimanere intrappolati, quindi ognuno cerca di portare a casa quello che gli sembra sicuro», aggiunge Mannucci. «Chi può scappa - dice anche Michele Gentile, responsabile del dipartimento Settori pubblici della Cgil - mentre prima la maggior parte dei lavoratori, pur avendo i requisiti per la pensione di anzianità restava fino ai 40 anni di contributi o fino all’ età per la vecchiaia». Infatti, una parte consistente delle pensioni di anzianità (24.000 nei primi 9 mesi 2011 a fronte di 25.345 dell’ intero 2010) continua a essere legata a uscite dal lavoro con 40 anni di contributi ma le altre, circa 28.000, a uscite volontarie, di personale che poteva restare al lavoro. Le uscite per vecchiaia sono diminuite per effetto della finestra mobile passando da 15.824 a 14.941 (-5,91%). Sono diminuite anche le pensioni di inabilità (da 4.394 a 3.808 con un -15,39%) e sono crollate le anzianità con trasformazione in part time (da 12.258 a 4.021 con un -204%). La fuga dal lavoro secondo il presidente Inpdap Paolo Crescimbeni non destabilizzerà il bilancio.
Melania Di Giacomo