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 2011  ottobre 04 Martedì calendario

Ecco la seconda vita di Nuti: «Nessuno si vergogni di me» - Francesco Nuti all’inferno an­data e ritorno

Ecco la seconda vita di Nuti: «Nessuno si vergogni di me» - Francesco Nuti all’inferno an­data e ritorno. Esce in questi gior­ni l’autobiografia dell’attore se­g­nato ma non sconfitto da un gra­ve incidente domestico. Nell’esta­te del 2006, Nuti cade dalle scale, entra in coma,viene operato d’ur­genza. Inizia un atroce calvario, accompagnato da qualche scioc­cante uscita televisiva (con pole­miche annesse). Nuti emoziona­tissimo piange, non riesce a parla­re né a muoversi. Sono un bravo ragazzo (Rizzoli) è il segno che qualcosa è cambiato, che Nuti sta meglio, e che c’è luce in fondo al tunnel della malattia neuromoto­ria. La comicità italiana, negli anni Ottanta, aveva due volti, anzi due maschere, arrivate quasi insieme al successo di massa: quella iperci­netica, logorroica di Roberto Beni­gni e quella laconica di Francesco Nuti. Erano entrambi cresciuti a Prato, separati appena dalla linea ferroviaria. Qualcuno, nonostan­te l’evidente grandezza di Beni­gni, preferiva Nuti. Perché, nei suoi silenzi improvvisi, negli scop­pi d’ira, negli occhi dolenti, nelle battute sarcastiche e perfino nel suo sentimentalismo si avvertiva un pizzico di verità in più. I critici non la pensavano così, e lo stron­cavano con la stessa regolarità con cui, in quegli anni, il pubblico lo premiava al botteghino. Al tem­po della lira, nel 1988, Caruso Pa­scoski di padre polacco fece quin­dici miliardi di incassi: un succes­so clamoroso. Fu preceduto, tra gli altri, da Casablanca Casablan­ca , esordio alla regia pluripremia­to, e seguito da altri blockbuster notevoli quali Willy signori e ven­go da lontano e Donne con le gon­ne . Verità, sincerità. E sì, in effetti, questo libro è molto diverso dalle solite memorie di una star. C’è il Nuti che ti aspetti (il biliardo e Bu­ster Keaton, fonti d’ispirazione predilette). E il Francesco inatte­so, che non ha paura di fare e farsi male, guardando dritto negli oc­chi il se stesso di un tempo, trovan­dolo mediocre («Ci sono stati an­ni in cui ero odioso, arrogante, prepotente»). Ecco quindi il giovin attore al­l’apice del successo: macchine, molte macchine. Donne, moltissi­me donne, spesso conosciute sul set, come Isabella Ferrari. Alcol, troppo alcol. Ed ecco la stessa per­sona, un secondo dopo, pronto a discendere la china a grandi falca­te e perdere tutto. Perché non ap­pena arriva in vetta, qualcosa si spezza. Ci sono la rabbia per non essere riconosciuto come autore e l’invidia,un sentimento difficile da ammettere per un artista. Invi­dia soprattutto verso Massimo Troisi, che sembra impossessarsi di tutto ciò che manca a France­sco. Comico di razza, è coccolato dalla critica, dai colleghi (Ettore Scola, a esempio), dalle televisio­ni, dai giornalisti. In più Troisi gli ha soffiato l’amata Clarissa Burt durante una festa a Roma. Nuti ammette di aver sperato nel falli­mento dei film del rivale napoleta­no. La dieta di vodka e sigarette non è un toccasana per la depres­sione incipiente. Nuti perde il con­trollo. Egli stesso si giudica impre­sentabile. Infatti inizia a non pre­sentarsi: manca gli appuntamen­ti, si guadagna la fama di inaffida­bile, qualcuno magari gli presen­ta il conto di passati rancori. Il ruo­lo di attore di successo gli va sem­pre più stretto, la maschera è di­ventata una prigione. I Novanta diventano un lento abbandono di se stesso e del cinema. Una notte del 2006 cade dalle scale e si addormenta. Rischia la vita. Oggi non porta maschere, quello che si vede è solo commo­zione. Per questo turba tanto quando appare in tv: non siamo abituati a vedere un uomo (un at­tore, poi) che non recita una par­te. «Commozione - scrive lui ­non vuol dire disperazione, ché la disperazione è piatta come un muro, livida, muta. Io non parlo, ma non sono muto. Il mio è il silen­zio di chi parla con gli occhi». Ora il futuro è ancora aperto. Nuti ha ripreso in mano le sue ultime sce­neggiature, ha realizzato una an­tologia di canzoni con il fratello Giovanni e Marco Baracchino, ed è protetto dall’amore della figlia Ginevra. Proprio perché Nuti è an­cora Nuti non rinuncia a una bor­data finale, poco accomodante e rivolta forse con chi ha avuto da ri­dire con le recenti uscite televisi­ve. Il post scriptum del libro è que­sto: «... ah dimenticavo. Chi si ver­gogna di me, si vergogni di sé. Ciao».