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 2011  ottobre 04 Martedì calendario

Croazia-Vaticano, feeling in crisi Ora litigano per un monastero - Prima hanno subito la rapina dei partigiani di Tito e poi il sopru­so­degli ex comunisti che si sono ri­ciclati nella nuova Croazia

Croazia-Vaticano, feeling in crisi Ora litigano per un monastero - Prima hanno subito la rapina dei partigiani di Tito e poi il sopru­so­degli ex comunisti che si sono ri­ciclati nella nuova Croazia. Le no­ve monache benedettine della splendida isola dalmata di Rab/Ar­be, però, non demordono. Da set­te anni sono in ’guerra’ a colpi di carta bollata in tribunale per riave­re indietro un vasto terreno e la fo­resteria espropriati dalla vecchia Jugoslavia. Non è l’unico braccio di ferro sui beni religiosi con la Cro­azia, che nel 2013 vuole entrare in Europa. Il monastero di Sant’Andrea, del XII secolo, ospitava le figlie dei nobili della zona. Nel 1938 venne costruita una foresteria con degli appartamenti per gli ospiti. «I co­munisti di Tito la occuparono e le monache patirono la fame. Dopo la guerra per decenni battezzava­no di nascosto i bambini» raccon­ta madre Marina. La nuova Repub­blica croata ha stabilito con la Chiesa la restituzione dei beni reli­giosi espropriati dal comunismo, ma non sempre l’accordo funzio­na. Il primo sindaco di Arbe, dopo la fine della Jugoslavia, sembrava deciso ad accontentare le mona­che. La situazione si è capovolta con l’attuale primo cittadino, Zdenko Antesic. Un ex comunista membro del partito socialdemo­cratico, lo stesso tragitto del presi­dente croato, Ivo Josipovic. Nella foresteria della discordia viveva­no delle famiglie fin dai tempi de­gli espropri titini. «Noi la voleva­mo indietro, ma il sindaco comuni­sta ha venduto agli occupanti ap­partamenti di 4 stanze per la cifra simbolica di 1000 euro. Qualcuno di loro era un compagno di parti­to » denuncia la badessa. La causa con il comune si trascina da anni ed è approdata al tribunale di Rjieka/Fiume. Gli altri otto mona­steri benedettini sulle coste dalma­te hanno ottenuto la restituzione dei beni. Per questo motivo Giuseppina, Marina, Scolastica, Benedetta, Zrinka, Nada, Cvetka, Veronika e Angela, le monache di Sant’An­drea, hanno chiesto aiuto a monsi­gnor Francesco Casari, delegato apostolico per la Croazia. «Siamo una comunità benedettina in un monastero millenario che mai è stato interrotto nella preghiera, nel lavoro e nel sacrificio - scrivo­no le battagliere madri - Al tempo del comunismo ci hanno preso tut­to il terreno che avevamo e la casa adiacente al monastero. (...) il sin­daco attuale, Slavko Antesic, è un comunista che ha venduto subito la casa. Il Signore in pochi anni ci ha mandato nuove giovani che vo­gli­ono seguire Gesù secondo la Re­gola tracciata da San Benedetto, e altre attendono di entrare, ma sen­za la nostra casa noi non abbiamo più posto per accoglierle». Il rappresentante del Vaticano in Croazia ha invitato le monache a rivolgersi al loro vescovo, ma pu­re lui è in lotta per ottenere le pro­prietà della diocesi rapinate dal re­gime di Tito. Santa Sede e Croazia sono già ai ferri corti per la richie­sta dei frati benedettini di Praglia, in provincia di Padova, che voglio­no indietro beni per 100 milioni di euro. Come ad Arbe si tratta di un convento a picco sul mare a Daila, vicino a Cittanova e 600 ettari di ter­reni. La chiesa istriana di stampo nazionalista ha osteggiato i bene­dettini. Il ministro della giustizia Drazen Bosnjakovic ha addirittu­ra emesso un decreto che impone una seconda nazionalizzazione dei beni espropriati. Il Vaticano è intervenuto con il segretario di Sta­to, Tarcisio Bertone, firmando il ri­corso all’atto di forza del governo croato. Le monache di Arbe sono spal­leggiate dal vescovo emerito di Bel­luno­ Feltre, monsignor Maffeo Giovanni Ducoli. A Verona, un suo uomo, Silvano Mosele, è pron­to a scrivere al Quirinale: «Napoli­tano ha incontrato e si è riconcilia­to con il presidente croato. Zaga­bria vuole entrare in Europa, ma primo di farlo risolva i recenti so­prusi. Le monache di Arbe hanno subito un’ingiustizia durante e do­po il comunismo».