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 2011  ottobre 04 Martedì calendario

INFLAZIONE, L’ARMA SEGRETA PER NON PAGARE IL CONTO

Gli economisti della scuola classica definiscono l’inflazione come “l’incremento dello stock di moneta in circolazione”, quelli più moderni come “l’aumento dei prezzi”. I classici sostengono che l’aumento dei prezzi è solo una conseguenza di un ampliamento della base monetaria, i moderni
che la base monetaria non incide necessariamente sull’aumento dei prezzi. Quando venerdì Eurostat ha pronosticato un incredibile 3 per cento di aumento dei prezzi medi europei per il 2011 entrambe le scuole hanno scoperto di aver ragione.
L’incremento di base monetaria non produce immediatamente l’effetto di un aumento dei prezzi medi perché la crisi economica lo differisce nel tempo. Le enormi quantità di denaro stampate dalle banche centrali di Inghilterra, Giappone e soprattutto Stati Uniti stanno producendo i loro effetti con 18 mesi di ritardo rispetto al picco dell’aumento della base monetaria. Il giro che hanno fatto i dollari messi in circolazione dalla Federal Reserve è molto più lungo di quello che facevano nel mondo pre-globalizzazione. In Brasile la banca centrale ha rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil ed al rialzo le stime di aumento dei prezzi: quella che sembra una contraddizione è facilmente spiegata con il fiume di dollari che si stanno riversando sugli asset dei Paesi emergenti e fanno decollare il prezzo delle case e dei terreni in Asia ed in Sud America. La domanda di beni di consumo durevoli è surriscaldata e provoca una pressione sui prezzi di materie prime e semilavorati che si scarica su tutti i consumatori.
Per far fronte al crescente volume di investimenti le imprese produttrici ritoccano verso l’alto i listini sia dei prodotti destinati al mercato interno sia quelli da esportazione. I paesi occidentali che ormai completamente interconnessi alla produzione estera assorbono l’aumento dei prezzi imbottito nei prodotti d’importazione. Nel giugno 2010 il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke diceva: “Non siamo preoccupati per l’inflazione, abbiamo strumenti per tenerla sotto controllo”. Non ha mai chiarito quali, anzi, ha promesso di mantenere i tassi di interesse vicini allo zero fino al 2013.
Il sistema finanziario occidentale non ha ormai più margini di manovra per combattere una ripresa dell’aumento dei prezzi: in altri tempi un aumento dei listini di vendita del 3 per cento non sarebbe stato un problema, le banche centrali potevano operare innumerevoli misure per un contenimento. Oggi sono in un angolo. Se alzassero i tassi di interesse o ritirassero liquidità dal mercato avremmo una serie di default bancari che metterebbero in ginocchio il sistema finanziario mondiale. I governi non sono poi così dispiaciuti: l’aumento dei prezzi accresce le entrate fiscali e svaluta il debito, una garanzia per la sopravvivenza di breve periodo dell’intera classe politica mondiale. Gli unici a pagare sarebbero i cittadini, schiacciati fra la crisi economica e i salari e le pensioni fisse che perderebbero potere d’acquisto. L’inflazione è infatti una tassa occulta.
Sembra fatta dunque, si va verso l’inflazione. Ma una volta aperto il vaso di pandora dell’aumento generalizzato dei prezzi dove si fermerà l’asticella? Chi deciderà quando fermarsi e soprattutto come faremo a fermarci? Domande a cui nessuno sa dare una risposta e che dividono il mondo in due fra chi, come Germania, Cina e Brasile conosce gli effetti potenzialmente devastanti dell’inflazione e chi invece come Stati Uniti, Inghilterra e Giappone pensano di poterne governare il corso. Una divisione sulle prospettive di politica monetaria che troverà il suo punto di caduta nelle prossime riunioni della Bce dove si dovrà decidere se abbassare o meno i tassi dell’Eurozona per sostenere le economie e soprattutto le banche in difficoltà. Qualunque sia la decisione, non ci sarà una via di uscita facile da questa crisi. Per dirla con Tremonti, un nuovo mostro “videogame della crisi” si sta materializzando. E’ l’ultimo ma è anche il peggiore.