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 2011  ottobre 04 Martedì calendario

BANCHE FRANCESI SOTTO ATTACCO

La giornata in Borsa era cominciata malissimo anche ieri, con il Cac40 in calo del 3% e i titoli bancari in picchiata: -9% per Bnp Paribas e Dexia, -7% per Société Générale e Crédit Agricole. Poi la situazione è leggermente migliorata, con l’indice che ha chiuso a -1,85% e le quotazioni dei grandi istituti di credito in arretramento del 4-5 per cento. Ma lo scenario di fondo non cambia.

Dexia a parte, che sta per essere declassata da Moody’s e rappresenta un caso del tutto particolare (ieri il titolo ha perso più del 10% e un cda d’emergenza è stato convocato nella notte per un possibile nuovo piano di salvataggio), l’ultimo trimestre dei grandi gruppi bancari francesi è da incubo: -53% per SocGen, -52% per l’Agricole, -45% per Bnp. A fronte di un indice Dj Stoxx 600 Banks in flessione nello stesso periodo del 28 per cento. Banche greche a parte, in nessun Paese il sistema del credito è stato complessivamente così penalizzato dai mercati. Per non parlare dei Cds, che negli ultimi tre mesi sono passati da 129 a 347 punti base per SocGen, da 11 a 259 per Bnp e da 130 a 258 per Agricole. E allora bisogna chiedersi qual è la malattia delle banche francesi.

In realtà le malattie sono due: la prima si chiama finanziamento - soprattutto in dollari, ma non solo - e la seconda esposizione al debito dei cosiddetti Paesi periferici della zona euro (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia). «Il sistema francese - ha riconosciuto ieri in un discorso a Tokyo lo stesso Governatore della Banque de France Christian Noyer - ha una reale vulnerabilità che dipende dalle esigenze di finanziamento in dollari legato alla rilevanza delle attività internazionali. Una situazione che le banche hanno forse tardato nell’affrontare efficacemente. Ora stanno rimediando, d’un lato diminuendo il loro livello di indebitamento e dall’altro risanando i loro bilanci».

In effetti tra il 12 e il 28 settembre i tre big del credito francese hanno presentato dei piani che vanno appunto in questa direzione e grazie ai quali la loro dipendenza dai finanziamenti in dollari e in particolare dai Fondi monetari americani viene drasticamente ridotta.

Stando agli analisti, la seconda malattia è però ancora più grave. Anche perché non è affatto chiara la cura che potrebbe portare a una guarigione in tempi rapidi. A disegnare il quadro generale è sempre Noyer: «Negli ultimi settant’anni i mercati finanziari si sono mossi sulla base di un’ipotesi forte, sia pure implicita. Che il debito pubblico delle grandi economie sviluppate andasse considerato privo di rischio, che sarebbe cioè stato integralmente rimborsato. Questa certezza è scomparsa. In particolare per quanto riguarda l’Europa, i mercati ritengono che una crescita debole e tassi d’interessi alti nel lungo periodo comporteranno inevitabilmente una non-sostenibilità del debito dei Paesi periferici». In sostanza un default almeno parziale.

E qui l’analisi di Noyer e quella dei mercati differiscono totalmente, con il primo che palesemente non riesce a convincere i secondi. Se infatti il governatore, di fatto portavoce del sistema, ritiene che l’ipotesi di un default di Paesi come l’Italia e la Spagna siano impensabili, i mercati ribattono che se forse questo è vero per Madrid, che si è mossa tempestivamente ed efficacemente, non lo è per Roma. «L’Italia - spiega l’analista di una grande banca d’affari - ha un doppio problema, politico ed economico-finanziario. All’instabilità politica si sommano una crescita drammaticamente debole, anche in prospettiva, e un riordino del settore bancario non ancora concluso».

Noyer aggiunge che l’esposizione delle banche francesi nei confronti dei Paesi periferici è di circa 60 miliardi, 47 dei quali a carico dei tre gruppi più grandi. Una cifra che il livello di capitalizzazione degli istituti consente di gestire senza grosse difficoltà, anche nella peggiore delle ipotesi. I mercati ribattono che non bisogna prendere in considerazione solo il debito sovrano ma l’intero ammontare del debito pubblico e privato. E qui la musica cambia, visto che l’esposizione complessiva delle banche francesi è di 306 miliardi, 210 dei quali sull’Italia.

Alcuni banchieri francesi parlano di «guerra economica» scatenata dai colossi bancari anglosassoni per indebolire i concorrenti parigini e sottrarre loro quote di mercato nei ricchi comparti dei prodotti strutturati. Può darsi. A pensare male magari si fa peccato ma di rado si sbaglia. Certo è che di tutte le banche dell’eurozona, le francesi sono le più esposte sui Paesi periferici e questo le rende oggettivamente più fragili. O l’Europa saprà quindi spegnere definitivamente l’incendio greco oppure la ricapitalizzazione diventerà inevitabile. Un’operazione costosa e peraltro non necessariamente conclusiva. Marco Moussanet • PESA IL CARICO DEI «PERIFERICI» - Bnp Paribas è decisamente il gruppo bancario francese più esposto ai debiti dei Paesi periferici dell’eurozona: 160,9 miliardi, dei quali 120,4 sull’Italia, dove Bnp è presente con Bnl. A metà settembre ha presentato un piano che prevede una riduzione delle attività di circa 70 miliardi entro la fine del 2012. Bnp ha inoltre comunicato di aver già portato nelle ultime settimane il suo finanziamento a carico dei fondi monetari americani da 46 a 36 miliardi (su un bisogno di finanziamento in dollari inferiore a un anno pari a 60 miliardi) e di aver fatto fronte senza problemi al venir meno dei Money Market Funds Usa con il ricorso agli swap sui cambi. L’impatto di una svalutazione al 55% dei titoli greci avrebbe un impatto lordo di 1,7 miliardi, «ampiamente gestibile». Il gruppo prevede un Common Equity Tier One al 9% il 1° gennaio 2013. • L’IMPATTO DEL PROFIT WARNING - Dei tre principali gruppi bancari francesi, Société Générale è di gran lunga il meno esposto sui debiti dei Paesi periferici dell’eurozona eppure è stato in questi mesi il più maltrattato dai mercati. Probabilmente perché ha una banca greca (Geneki), perché ha una forte attività di investment banking (strutturalmente più a rischio rispetto al retail), perché l’effetto Kerviel (il trader che ha fatto perdere 5 miliardi alla banca nel 2009) non è ancora stato del tutto digerito. Perché, infine, è stata l’unica a lanciare un profit warning sui risultati 2012, il cui utile previsto (6 miliardi) era forse stato comunicato con un eccesso di ottimismo. Logico quindi che SocGen sia stata la prima a presentare un piano che prevede tra l’altro un’accelerazione della cessione di asset e una riduzione del 5% dei costi del polo Cbi. Annuncia un ratio Core Tier One versione Basilea 3 all’8,5% all’inizio del 2013 e «largamente superiore» al 9% alla fine dell’anno. • VIA ALLA RIDUZIONE DEL DEBITO - Dei tre big francesi, il Crédit Agricole è l’unico ad avere una presenza significativa in Grecia (con Emporiki) e in Italia (con Cariparma). Di qui i timori del mercato, che ne hanno fortemente penalizzato il titolo. La «banca verde» è passata al contrattacco il 28 settembre, annunciando una riduzione strutturale del debito pari a 50 miliardi (45 dei quali a breve) entro la fine del 2012. La parte dell’investment banking, che pesa per il 15% sul fatturato, sarà compresa tra i 15 e i 18 miliardi. L’Agricole ha inoltre spiegato di aver già portato il debito a breve da 170 a 145 miliardi negli ultimi tre mesi, con una quota in dollari scesa dal 44% al 27 per cento. E di aver totalmente assorbito l’uscita di scena dei fondi monetari americani. Assicura un ratio Common Equity Tier One del 9% nel 2013.