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 2011  ottobre 05 Mercoledì calendario

«Quella maledetta notte all’Hotel Savoy». La voce di Massimo Ghini si fa seria, l’attore pronuncia le parole come se dovesse leggere una sentenza, ogni tanto raddoppia le lettere, come d’uso a Roma, ma il tono resta compito: martire consenziente non domanda che di soffrire per la Verità

«Quella maledetta notte all’Hotel Savoy». La voce di Massimo Ghini si fa seria, l’attore pronuncia le parole come se dovesse leggere una sentenza, ogni tanto raddoppia le lettere, come d’uso a Roma, ma il tono resta compito: martire consenziente non domanda che di soffrire per la Verità. Quella maledetta notte del 1967, durante il Festival di Sanremo, Luigi Tenco si è tirato un colpo e ha chiuso con la vita. Ogni tanto si riapre il caso Tenco, ed è una ferita grande per chi l’ha amato, apprezzato, rimpianto. A occuparsene questa volta sono Massimo Ghini ed Ezio Guaitamacchi: il primo gigioneggia, sempre sopra le righe, e recita i testi del secondo. Il secondo, sempre sopra le righe, ogni tanto appare in video, in segno di risarcimento autoriale. I dubbi sul suicidio di Tenco continuano a inseguirsi, anche se quella sera il cantautore, per superare lo stress della competizione, era imbottito di alcol e psicofarmaci, come usava allora fra i maudit. Fu davvero un suicidio? Perché l’inchiesta fu condotta così male e così in fretta? Perché non fu estratto il proiettile? Fra le testimonianze raccolte l’unica che valesse la pena di essere seguita è stata quella di Renzo Arbore: puntale, serena, rispettosa. Chi ne esce piuttosto male è Ugo Zatterin, il giornalista e dirigente Rai che, a tutti i costi, volle che Sanremo continuasse. Resto convinto che ci sia una verità dalla forte valenza simbolica cui non abbiamo mai voluto prestare attenzione, tutta racchiusa nel famoso biglietto di congedo: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente 5 anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e ad una commissione che seleziona “La rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi». Quel bigliettino, chiunque lo abbia scritto, è la cosa più vera, più autentica che ci rimane di quella tragica serata. Per capire anche il presente.