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 2011  ottobre 05 Mercoledì calendario

Marina Berlusconi non è una donna che teme di essere dura. E questa volta sembra volerlo essere ancora di più

Marina Berlusconi non è una donna che teme di essere dura. E questa volta sembra volerlo essere ancora di più. Come presidente Fininvest ha appena presentato un esposto al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione, che segnala un’anomalia che ha avuto un peso decisivo sulla sentenza che ha portato la Cir a incassare un assegno di 564 milioni come risarcimento per la vicenda Mondadori. «Abbiamo scoperto un tarlo, una falla clamorosa che mina dalle fondamenta un castello di ingiustizie. Altro che leggi ad personam, qui siamo alle sentenze ad personam, al diritto cucito su misura: quando ci sono di mezzo mio padre o le nostre aziende, spuntano addirittura principi giurisprudenziali inediti e totalmente innovativi. Peccato che siano principi inesistenti, nati dal "taglio" di una frase addirittura sostituita da puntini di sospensione e dalla mancata citazione di altre». Un conto sono le sentenze, un conto le interpretazioni, come la vostra. «Qui non si tratta di interpretazioni, questi sono dati di fatto. Sono scomparse frasi intere di una sentenza della Cassazione». Sia esplicita, che cosa è successo, cosa hanno fatto i giudici? «Con il taglio e l’omissione di alcune frasi questa pronuncia della Cassazione, che ha un ruolo fondamentale ai fini della condanna, è stata letteralmente stravolta, ed è stato in questo modo creato un precedente giuridico ad hoc». Sta dicendo che la sentenza è stata manipolata. Accusa i giudici di un falso? «Me ne guardo bene, l’esposto si limita a segnalare alle autorità competenti quanto è accaduto. È un fatto talmente evidente e grave che abbiamo non soltanto il diritto ma addirittura il dovere di renderlo noto, al di là del ricorso in Cassazione che seguirà la sua strada. Il taglio e l’omissione di alcuni passaggi ribalta totalmente la tesi della Cassazione con la conseguenza che noi dobbiamo firmare un assegno da 564.248.108,66 euro. Incredibile? Assolutamente sì, è quello che ho pensato quando i legali me ne hanno parlato. Però, ripeto, le carte sono lì, basta confrontare i testi sul sito della Fininvest. Incredibile, ma vero». Senta, a me paiono scaramucce giudiziarie, costose quanto vuole... «Altro che scaramucce, stiamo parlando di più di mezzo miliardo». Sì, ma è sempre la stessa storia. «Eh no. Partiamo dalla sentenza del 1991 della Corte d’Appello di Roma, quella che dava torto a De Benedetti, dalla quale tutto è cominciato. Dopo che uno, uno solo badi bene, dei tre giudici romani era stato condannato per corruzione, per cancellare gli effetti di quella sentenza d’Appello le norme davano a De Benedetti una sola possibilità: rivolgersi al giudice della revocazione. Non è una formalità, ma un istituto fondamentale, previsto dall’articolo 395 del Codice di procedura civile. La Cir però la revocazione, che le regole avrebbero peraltro imposto di discutere a Roma e non a Milano, non l’ha mai chiesta. I termini sono scaduti nel settembre 2007. Morale: azione improponibile, fine della storia». Altro che fine della storia, poi il giudice Mesiano vi condanna a un risarcimento di 750 milioni. «Esatto. Questa è la dimostrazione che trovano sempre il modo per superare ostacoli che dovrebbero essere insuperabili. Mesiano punta sulla chance: non ci sono certezze, ma è molto probabile che un giudizio non viziato da corruzione nel ’91 avrebbe dato ragione alla Cir. Un escamotage così poco sostenibile che la stessa Corte d’Appello lo "boccia" e cambia strada. Stabilisce che la sentenza che ci aveva dato ragione era nulla. Si arroga il diritto di rifare il processo e la Cir vince. Si sostituisce, quindi, al giudice della revocazione. E per farlo utilizza, nel modo sconcertante che le ho detto, la pronuncia 35325/07 della Cassazione». Capisco che tutto ciò vi crei problemi. Insisto: questioni giuridiche, procedurali, da tribunali... «Non ci sono solo procedure, ci sono anche i fatti. Eccoli: la Cir non ha avuto alcun danno da parte nostra; noi, che non avremmo dovuto pagare neppure un euro, abbiamo subito un esproprio di 564 milioni, un danno gravissimo per un gruppo che, non mi stancherò mai di sottolinearlo, è uno dei grandi protagonisti dell’economia del Paese, e che solo per dare una cifra, negli ultimi 10 anni ha versato nelle casse dello Stato la bellezza di oltre 5 miliardi di euro, più di 2 milioni al giorno». Veramente è De Benedetti che lamenta un danno. «Ma quale danno? La vicenda si concluse con una transazione impostaci dalla politica che De Benedetti accettò entusiasticamente, come dimostrano le sue dichiarazioni di allora, senza neppure ricorrere in Cassazione e ci credo che fosse soddisfatto: si prendeva Repubblica, l’Espresso e i quotidiani locali di Finegil, una parte rilevantissima della Mondadori, politicamente ed economicamente». Lascio a lei la responsabilità di quello che afferma su Cir e magistratura. Ma a me pare l’ennesima versione della persecuzione contro suo padre. «Persecuzione? Non avevo dubbi sul fatto che si trattasse di una sentenza politica, ora si scopre su che cosa si basa! Non tiro conclusioni, ma veda lei... Purtroppo la verità è che parlare di persecuzione non è più sufficiente. Ormai contro mio padre siamo alla barbarie quotidiana legalizzata». Addirittura barbarie... «Certo, mi ha molto turbato leggere articoli di informatissimi notisti politici in cui si considera come un dato scontato che questa aggressione furibonda possa mettere in discussione la sua libertà personale, il futuro delle sue aziende e addirittura la sua incolumità. E nessuno fa un salto sulla sedia? Sì, barbarie quotidiana legalizzata, ma assolutamente illegale». Illegale cosa? E allora tutte le inchieste aperte da Napoli a Bari, da Roma a Milano? «Si inventano inchieste a ripetizione su reati inesistenti e senza vittime solo per fabbricare fango. Poi il fango fabbricato viene palleggiato tra una Procura e l’altra e infine riciclato. Il processo, con relativa, inevitabile condanna, lo si celebra sui media. Quello in aula, se si farà e come finirà non interessa più a nessuno. So bene, e ci tengo a ripeterlo, che dietro tutto questo c’è solo una minoranza di toghe, che la magistratura come istituzione merita il massimo rispetto. Ma il risultato non cambia. E mi chiedo che cosa tutto ciò abbia a che fare con la giustizia, con l’informazione, con un Paese che si considera civile». Me l’aspettavo, il problema sono i magistrati che intercettano e i giornali che pubblicano. «Stiamo parlando di centinaia di migliaia di intercettazioni, un numero spropositato, di cui si è fatto un uso fuori da ogni regola, mi riesce perfino difficile trovare le parole per definirlo, la verità è che se ci penso mi viene la nausea. Credo che raramente si sia assistito ad un tale spettacolo di inciviltà. Altro che bavagli: ma davvero qualcuno può credere e sostenere che si possa continuare così?» Un presidente del Consiglio non è proprio un cittadino qualunque. Strauss-Kahn ha chiesto scusa in tv, persino Giuliano Ferrara invita suo padre a fare altrettanto... «Intanto il paragone è del tutto inaccettabile. Mio padre non ha mai fatto assolutamente nulla di male e vedere il modo in cui cercano di sfregiarlo, per chi come me lo conosce davvero e sa davvero com’è, è ogni volta un pugno nello stomaco. È uno di quegli uomini, non rari ma rarissimi, che ha sempre saputo far coincidere la realizzazione di se stesso e dei propri obiettivi, la creazione di opportunità per sé con la creazione di opportunità e di benessere anche per gli altri. E tutto questo sia per indole, sia per coraggio, sia per capacità, sia soprattutto per la sua grande generosità. Mio padre non ha mai preso soldi dalla politica, è uno dei pochi che con la politica i soldi li ha spesi e per il suo impegno ha pagato e sta pagando un prezzo altissimo anche dal punto di vista personale. Non deve scusarsi proprio con nessuno, anzi sono gli altri, e sono in tanti, tutti coloro che lo assediano in modo vergognoso, a doversi scusare con lui». Secondo lei quello della magistratura è un complotto, la società civile che si lamenta sbaglia. E le critiche di Marcegaglia, di Della Valle, solo una serie di errori. «Intanto, non concordo per nulla con chi contrappone una società civile buona a una politica cattiva. Certo, è compito della politica, tanto più in un momento così delicato, affrontare e risolvere i problemi, ma politici di qualità ce ne sono da entrambe le parti, e cose importanti e di qualità il governo ne ha fatte molte». Eppure la situazione economica è sotto gli occhi di tutti... «Non dimentichiamoci che si sta fronteggiando una crisi globale, si deve operare in un sistema che, lo riconoscono perfino gli inflessibili censori di Standard & Poor’s, somiglia molto a una palude, dove tutto finisce frenato, smorzato se non svuotato. E il governo ha di fronte un’opposizione divisa su tutto tranne che sull’agitare qualunque bandiera, anche la più improbabile per le idee della sinistra, che possa essere sventolata contro Berlusconi». Sta chiedendo che nessuno disturbi il manovratore? Mi pare eccessivo. «La società civile non può cavarsela con apocalittici proclami di una pochezza desolante, o dettando lezioncine scontate». A chi si sta riferendo, perché non fa nomi? «Non mi interessa fare nomi. Dico solo che non se ne può davvero più di maestrini o maestrine, tanto bravi finché c’è da parlare, molto meno una volta messi alla prova dei fatti. Le ricette ci sono e sono note, il problema è poterle realizzare. E allora, se non si tratta solo di voglia di protagonismo o di ambizioni d’altro genere, se l’intento sincero è quello di dare una mano all’Italia del futuro ma anche a quella del presente, non si può pensare di farlo restando seduti in platea. Bisogna salire sul ring e cominciare con il battersi con quello che è l’avversario più temibile: chi sullo sfascio, sul tanto peggio-tanto meglio costruisce le proprie fortune». Nell’ultimo editoriale di Angelo Panebianco si parlava di ciclo concluso per Berlusconi e che se suo padre facesse un passo indietro la situazione si svelenirebbe. «Mio padre non deve assolutamente mollare e non mollerà. Per molte ragioni. Intanto in un momento come questo la stabilità è un bene prezioso, e oggi non mi pare proprio ci siano alternative degne di questo nome all’attuale governo. Ma soprattutto non deve mollare e non mollerà per il rispetto e l’amore che ha verso la democrazia». Mi pare proprio esagerato tirare in ballo la democrazia. «No, purtroppo no. La democrazia non si può piegare alle trame di qualche Procura e di qualche redazione. Pensare che lo scempio di ogni regola cui stiamo assistendo sia un problema che verrà risolto come per incanto se e quando Silvio Berlusconi deciderà di dedicarsi ad altro, è solo una pericolosa illusione. E chi si illude di cavalcare questo scempio dovrebbe sapere che rischia di esserne travolto se verrà il suo turno». La solita difesa di suo padre, come sempre, senza se e senza ma. «Guardi, mio padre sta lottando per il rispetto della sua libertà, ma la sua lotta è in realtà una lotta per la libertà di tutti. Possiamo essere liberi solamente se tutti lo sono. Qui non è solo la figlia che difende il padre, cosa che ho fatto e che continuerò a fare perché è sottoposto a un’aggressione sempre più violenta e vigliacca. Difendendo lui difendo anche me stessa, il rispetto della mia dignità e della mia libertà, e soprattutto difendo il diritto dei miei figli a vivere e a crescere in un Paese davvero democratico e civile». Daniele Manca