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 2011  ottobre 04 Martedì calendario

IL PCI VOLEVA CHE FOSSERO VIETATI I REFERENDUM SULLE LEGGI ELETTORALI

L’articolo 75 della nostra Costituzione indica le materie escluse dalla consultazione referendaria: «leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali». Tra queste non figura dunque la legge elettorale. Avrebbe invece dovuto esserci e quindi essere esclusa dal referendum.

Nella seduta plenaria pomeridiana del 16 ottobre 1947 dell’Assemblea costituente, erano in discussione appunto le materie da sottrarre a referendum popolare.

Il presidente dell’Assemblea, Umberto Terracini, comunica la proposta dei deputati comunisti Maria Maddalena Rossi, Antonio Giolitti, Ruggero Grieco e altri «di comprendere tra le leggi escluse dal referendum abrogativo anche le leggi elettorali», e invita Meuccio Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione, a manifestare il relativo parere.

Parere contrario; argomenta Ruini che «se c’è qualche cosa in cui il popolo può manifestare la sua volontà, è proprio il sistema elettorale».

Si vota e la proposta dei deputati comunisti, malgrado il parere contrario di Ruini, è approvata.

L’allora articolo 72 del testo costituzionale in discussione (sarebbe diventato il 75) comportò dunque esplicitamente il divieto di sottoporre a referendum le leggi elettorali; il relativo verbale dell’Assemblea costituente è chiarissimo: «L’articolo 72 risulta così approvato nel suo complesso: «Non è ammesso referendum per le leggi tributarie, di approvazione di bilanci, di concessione di amnistia e indulto, elettorali, e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

Dall’approvazione di questo articolo a quella del testo definitivo della Costituzione da parte dell’Assemblea costituente qualcosa di poco chiaro dovette accadere (dopo l’approvazione, i testi legislativi passavano al «coordinamento formale»): le leggi «elettorali» sparirono dal novero di quelle escluse dal referendum.

Da allora s’iniziò a cercare responsabilità e responsabili di un gesto assai poco commendevole come quello di andar contro un esplicito voto dell’Assemblea costituente (pessimo viatico costituzionale, tanto più agli inizi della vita democratica).

Uno dei testimoni del tempo, Giulio Andreotti (che votò a favore dell’emendamento), parlò a più riprese nel 1990 e nel 2002 di «scippo” da parte di Ruini.

Costituzionalisti e storici, da Fulco Lanchester a Elio Lodolini, avrebbero confermato l’ipotesi (e qualcosa di più d’una semplice ipotesi) della responsabilità di Ruini con la corresponsabilità di funzionari dell’Assemblea.

Escluso l’errore materiale, resta il problema storico e, se si vuole, morale: si opera oggi sulla base della corruzione filologico-politica del testo costituzionale.

Paradossalmente, a godere di quello “scippo” o come lo si voglia definire, sono gli eredi della cultura politica che ne fu la prima vittima. Paradosso o propriamente nemesi?