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 2011  ottobre 04 Martedì calendario

IMMOBILI DI STATO SENZA MERCATO

Siamo sicuri che c’è un corposo patrimonio pubblico immobiliare pronto per essere presto dismesso? Siamo certi che sia praticabile una imminente vendita di edifici degli enti locali? Si può davvero pensare che ci lo stato abbia ancora gioielli di famiglia che possono far incassare soldi utili per abbattere il debito pubblico?

A queste ed altre domande, dopo gli ultimi annunci del Tesoro, risponde idealmente un saggio scritto da una delle poche persone che in Italia s’intende, non solo come studioso, di patrimonio pubblico: ovvero Elisabetta Spitz, architetto, esperta di gestione immobiliare, dal 2001 al 2008 alla direzione dell’Agenzia del Demanio durante sia governi di centrosinistra che di centrodestra.

Già nella manovra di luglio un programma di dismissione è stato previsto.

La scelta si è orientata sulla dismissione dei patrimoni immobiliari degli enti locali che dovrebbero affidare, a partire dal 2012, a fondi gestiti da Sgr private, la valorizzazione e privatizzazione del loro patrimonio immobiliare. Il sostegno dello Stato in questo processo è affidato a un «Fondo dei fondi», alimentato dalle disponibilità finanziarie degli enti previdenziali pubblici.

«Si è scelto di avviare un percorso virtuoso per gli enti locali che detengono il patrimonio immobiliare pubblico più consistente e anche più sconosciuto, stimato in circa 300 miliardi di euro, pochi anni fa», scrive la Spitz sul prossimo numero della rivista Formiche diretta Paolo Messa.

A breve, tra l’altro, con l’attuazione del federalismo demaniale, regioni, province e comuni dovrebbero ricevere anche buona parte del patrimonio e del demanio dello Stato: «Non moltissimo, in termine di valore complessivo, ma sicuramente un ulteriore costo se inutilizzato. Ipotizzare dunque un’ulteriore manovra che possa riguardare anche una dismissione massiccia degli immobili statali appare poco praticabile», sostiene Spitz nel saggio scritto con Gianluigi Moretta, consulente di finanza immobiliare.

Dal 2008 ad oggi, secondo gli autori, i valori immobiliari sono scesi, le banche finanziano, quando finanziano, non più del 40/50% delle operazioni, «il numero delle transazioni è drammaticamente diminuito, gli investitori stranieri si sono riposizionati su altri mercati e i grandi gruppi immobiliari italiani subiscono preoccupanti perdite di capitalizzazione in Borsa».

Dunque, dicono, «pensare di procedere a una vendita in blocco di una quota consistente del patrimonio statale è, oggi, impensabile». Non solo: «un’ulteriore manovra deprimerebbe il mercato privato e renderebbe inefficace il percorso avviato a luglio».

Spitz smonta anche l’idea che circola in questi giorni di uno stock enorme di edifici statali pronti per essere venduti: «Il patrimonio immobiliare dello Stato si è progressivamente assottigliato, in parte con le massicce dismissioni fatte fra il 2001 e il 2005, in misura consistente con la devoluzione in favore degli enti locali, prevista dal federalismo demaniale».

Insomma, dice a ItaliaOggi l’ex direttore dell’Agenzia del Demanio, «i gioielli di famiglia non ci sono più. Allo Stato è rimasto il patrimonio strumentale: quello che, non più di sei mesi fa, i vari ministeri hanno dichiarato essere indispensabile per lo svolgimento delle funzioni statali».

Eppure, scrivono Spitz e Moretta, «è proprio da questo che si può partire per avviare un programma serio che possa avere un effetto duraturo sul debito pubblico e che non serva solo ad una operazione “a breve” sul deficit».

La cassa si deve cercare partendo dalla gestione corrente: «Per gli immobili il primo passaggio è l’avvio di un piano di razionalizzazione “sartoriale” della gestione del patrimonio», dicono, «impostato su due filoni di intervento intimamente collegati: una seria politica di space management; una altrettanto seria politica di razionalizzazione degli utilizzi e decentramento amministrativo».

Qualche numero: il patrimonio strumentale su cui oggi intervenire è costituito dalla somma degli «usi governativi», ossia degli immobili in uso alle amministrazioni dello Stato (circa 58,4 miliardi di euro di valore per quasi 14 mila immobili) e delle locazioni passive, ossia gli immobili che lo Stato occupa in affitto (circa 12,4 miliardi di valore per circa 7.200 immobili) che ammontano ad un valore complessivo di quasi 71 miliardi.

In questi 21mila immobili, sparsi in tutti i Comuni d’Italia e soprattutto i capoluoghi, lavorano circa 750mila dipendenti pubblici, compresi le forze militari e di polizia (escludendo sanità, istruzione ed enti locali): «Per mantenere questo patrimonio, e in particolare per sostenere i costi di manutenzione e i costi di gestione», commentano Spitz e Moretta con ItaliaOggi, «lo stato spende tra 1,5 e 2 miliardi di euro l’anno per le manutenzioni e tra 1,6 a 2,1 miliardi per il cosiddetto facility management. Inoltre, per stare in affitto, lo Stato spende poco meno 1 miliardo l’anno. In buona sostanza gli oneri generati dalla gestione del patrimonio immobiliare utilizzato si aggirano intorno ai 4 miliardi di euro l’anno».

Una cifra «esorbitante», secondo i due esperti, «anche in considerazione che, teoricamente, lo Stato destina ai propri dipendenti, compresa la Polizia e i militari, uno spazio di lavoro di quasi 50 mq a persona, ossia il doppio di quanto la legge prevede per ogni abitante residenziale».

Per questo «occorre partire da una stringente politica di space management: «Nel mondo privato e all’estero (specialmente in Inghilterra) oggi ci si sta orientando verso i 10-12 mq per dipendente. Ma anche il solo raggiungimento degli attuali standard nazionali degli uffici privati, di circa 20 mq/dipendente, rappresenterebbe un successo».

Da qui la proposta: «con un orizzonte temporale di un lustro, se si riuscisse a vendere anche solo il 15% del patrimonio strumentale, si genererebbero risorse per oltre 10 miliardi, cui sommarne 5 di risparmi, il tutto senza oneri a carico dello Stato».

È alla fine di questo processo, che durerà almeno dieci anni, «e con il quale si potrebbe ridurre del 50% i costi gestionali e produrre cassa per 30/35 miliardi di euro, che si può immaginare di attivare un veicolo finanziario, un fondo immobiliare pubblico per esempio, nel quale conferire il nuovo patrimonio strumentale».