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 2011  ottobre 05 Mercoledì calendario

Quale sarà la sorte dell´universo? Tredici anni fa questa domanda ha trovato una possibile risposta

Quale sarà la sorte dell´universo? Tredici anni fa questa domanda ha trovato una possibile risposta. E oggi ai tre astrofisici che in quel "libro del destino" sono riusciti, per primi, a sbirciare è stato assegnato il Nobel per la Fisica. Nel 1998 Saul Perlmutter da un lato, Brian Schmidt e Adam Riess dall´altro, hanno osservato che l´universo non solo è in continua espansione, ma che questa espansione è sempre più rapida. Fu un po´ come - spiegano oggi i tre - lanciare una mela in aria e vedere che anziché ricadere a terra saliva sempre più velocemente verso il cielo. Se l´osservazione premiata oggi è corretta - e alcuni astrofisici avanzano dubbi sui calcoli che la supportano - l´universo è destinato a diventare uno spazio freddo e vuoto, con stelle talmente lontane da diventare invisibili l´una all´altra a ritmi sempre più rapidi. La scoperta arrivò 13 anni fa, quando il più anziano dei tre vincitori (Perlmutter) aveva 39 anni e tutti i libri spiegavano che la forza di gravità agiva frenando l´espansione dell´universo. Se l´osservazione che ha capovolto il destino del cosmo è stata presa in considerazione è solo perché effettuata da due gruppi indipendentemente l´uno dall´altro. Perlmutter all´università della California e l´équipe di Schmidt e Riess (l´High-z Supernova Search Team) hanno scandagliato il cielo a caccia di stelle lontanissime, e hanno osservato che il loro allontanarsi era molto più rapido del previsto. Le stelle usate come metro di misura (o "candele standard") sono Supernovae distanti 6 miliardi di anni luce (quasi la metà dell´età dell´universo), pesanti come il Sole ma piccole come la Terra, che esplodendo liberano in poche settimane la luce di un´intera galassia. Per quanto enorme, questa luminosità era però più debole rispetto alle previsioni. E il fenomeno fu osservato nel corso degli anni ‘90 per più di 50 Supernovae diverse. La spiegazione della scoperta ci porta al centro del più grande mistero della fisica di oggi: l´energia oscura. «Il vuoto può avere un´energia. E man mano che l´universo si espande, la materia diventa più rarefatta e questa energia prevale. Sulla sua natura non ci sono idee, e quindi nemmeno esperimenti» spiega Luciano Maiani, fisico teorico della Sapienza, ex direttore del Cern e del Cnr. Il buco nero nella mappa delle nostre conoscenze è tutt´altro che trascurabile, se l´energia oscura rappresenta il 73% dell´intero cosmo ed è in continuo aumento. Un altro 23% sarebbe composto da materia oscura (sulla cui natura ci sono vaghe ipotesi), mentre atomi e particelle a noi noti sarebbero relegati a un misero 4% del cosmo. Alla soluzione del mistero dell´energia oscura, secondo Maiani, «arriveremo quando troveremo il punto d´incontro fra meccanica quantistica e relatività generale: il sacro Graal della fisica moderna». BARBARA GALLAVOTTI SULLA STAMPA Il Novecento è stato il secolo delle grandi emozioni scientifiche: abbiamo scoperto che alla base della vita c’è l’espressione di un bellissima molecola chiamata DNA, abbiamo imparato a spezzare l’atomo (nel bene e nel male), abbiamo dato un’identità al manipolo di particelle che costituiscono la materia, e molto altro. Alla fine degli Anni 90 potevamo forse ritenerci soddisfatti. E invece no: il secolo doveva chiudersi con un ultimo fuoco d’artificio e nel 1998 abbiamo saputo che l’Universo non si espande a velocità costante, ma accelera sospinto da un motore misterioso chiamato «energia oscura». Una scoperta che ha lasciato senza fiato i cosmologi e fatto immediatamente pensare al più ambito dei premi. Un Nobel atteso, dunque, quello che è stato assegnato ieri per metà a Saul Perlmutter e per l’altra metà a Brian P. Schmidt e Adam G. Riess. Come già avvenuto nel 2010, anche stavolta si tratta di tre ricercatori non certo attempati: il più «anziano», Perlmutter, è nato nel 1959, gli altri due nel 1967 e nel 1969. All’inizio degli Anni 90 i cosmologi erano convinti che l’Universo fosse in espansione: galassie e corpi celesti avrebbero risentito ancora dell’effetto del Big Bang: l’ultimo alito di un soffio remoto, che tuttavia li avrebbe portati alla deriva sempre più lontano, a meno che l’attrazione reciproca della forza di gravità non avesse prima o poi avuto la meglio. All’epoca Perlmutter guidava un gruppo di ricerca, mentre Schmidt si trovava a capo di un altro, nel quale c’era Riess. Entrambi i gruppi intendevano localizzare alcune supernove particolarmente distanti, così da tracciare una mappa più precisa dell’ Universo. Il momento sembrava il più opportuno, perché a disposizione c’era una rete di telescopi sofisticati, computer potenti e apparecchi CCD con cui ottenere immagini digitali in modo veloce. La ricerca si prospettava interessante, ma non foriera di emozioni straordinarie. Invece le emozioni sono arrivate, perché lo studio delle emissioni di luce delle supernove non ha lasciato dubbi: i corpi celesti più lontani accelerano e di conseguenza ci deve essere qualcosa che li sospinge, un’«energia oscura», appunto, di cui ignoriamo la natura. Negli ultimi anni astronomi e cosmologi hanno accumulato nuove prove a favore della sua esistenza, cogliendo tracce della sua ombra anche nel fondo di radiazione cosmica, quel debole mare di fotoni che si è formato circa 14 miliardi di anni fa, quando l’Universo aveva «appena» 300 mila anni, e che ancora oggi lo pervade. Eppure, il volto dell’energia oscura resta nascosto. I pochi indizi che trapelano ci dicono che è una entità estremamente forzuta e anche che la sua «stazza» è notevole. L’energia oscura, infatti, rappresenta il 70% dell’energia dell’Universo. Il restante 30% è sotto forma di materia (secondo l’equazione di Einstein E=Mc2, materia ed energia si equivalgono). In particolare il 5% è la materia che conosciamo e che compone ciò che ci circonda, dai nostri corpi alle galassie, e il restante 25% è materia oscura, un’altra signora cosmica dall’identità misteriosa. Di certo l’energia oscura non è una forma di materia, e neppure di radiazione. Si pensa che sia una forma di energia associata a un «campo»: possiamo immaginarla come una versione moderna dell’impalpabile etere che un tempo si riteneva pervadere le sfere celesti. Stranamente, l’Universo non sembra aver risentito della sua forza per gran parte della propria esistenza e questo effetto tardivo è uno dei grandi interrogativi che la circondano. Scoprire la natura dell’energia oscura è molto difficile anche perché al momento non è possibile immaginare esperimenti che permettano di ricrearla in laboratorio. Per ottenere indizi, ancora una volta, non resta che puntare i telescopi verso il cielo, contando su tecnologie sempre più avanzate per osservare corpi celesti ancora più lontani, così da misurare la loro apparente accelerazione ai confini dell’esistente. Così i cosmologi mirano anche a capire se l’energia oscura fa sentire la sua forza in modo omogeneo in tutto l’Universo o è più intensa in alcuni punti. Altre indicazioni potranno poi venire da studi sulla radiazione di fondo cosmica. Alla fine qualcuno riuscirà a sollevare il velo e allora capiremo quale sarà il destino dell’Universo, sapremo cioè se la sua espansione è destinata a fermarsi o se continuerà all’infinito, diluendo tutto ciò che esiste in un nulla cosmico.