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 2011  ottobre 04 Martedì calendario

Come aveva chiuso la scorsa stagione, così ha ricominciato, con la Benedizione Gaelica: «Possano le strade farsi incontro a te

Come aveva chiuso la scorsa stagione, così ha ricominciato, con la Benedizione Gaelica: «Possano le strade farsi incontro a te. Possa il vento essere alle tue spalle. Possa il sole splendere caldo sul tuo viso. Possa la pioggia cadere leggera sui tuoi campi. E, fino a quando non ci rincontreremo, possa Dio tenerti sul palmo della sua mano». Ormai il cardinal Gianfranco Ravasi è l’ultima oasi nel deserto della tv italiana e «Frontiere dello spirito» (giunto intanto alla 21° edizione, un vero record) resta una delle poche trasmissioni che ancora fanno pensare e ci introducono al mistero della parola (Canale 5, domenica, ore 8,30, regia di Vittorio Riva). Dalla basilica di San Clemente papa, Ravasi ci introduce a un gioiello delle Scritture: il salmo del profeta Isaia (5, 1-7), conosciuto come «il cantico della vigna», dove si intrecciano mirabilmente due registri espressivi: quello lirico della poesia d’amore (un amore frustrato da un’attesa che, nella ripetizione, si fa insopportabile) e quello drammatico del canto di lavoro: nonostante le cure, la vigna darà frutti acerbi (una scarsa piovosità durante l’inverno induce il risveglio vegetativo, ma i germogli, dopo l’allegagione, cessano di crescere e l’uva non arriva a maturazione). In diversi poemi d’amore, nella Bibbia come nelle letterature mesopotamiche ed egiziane, la vigna è sovente metafora della donna amata e in Isaia l’intreccio fra canto d’amore e canto popolare di lavoro (straordinari i dettagli della sofferenza della vigna) serve a chiarire l’enigma finale: la vigna è il popolo d’Israele, nei confronti del quale Dio manifesta tutta la sua delusione. Ravasi si concede persino alcune annotazioni filologiche sul gioco di parole cui la traduzione non rende giustizia: Dio si aspettava la rettitudine (mishpat) ma trova solo il sangue versato (mispah), si aspettava giustizia (sedaqah) ma trova solo le grida degli oppressi (se’aqah). A molta tv italiana, per giungere a maturazione, manca l’acqua della «parola».