Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  ottobre 04 Martedì calendario

ADDIO CARA VECCHIA TV NASCE IL PALINSESTO FAI-DA-TE

Il funerale della tv si è svolto martedì 17 febbraio 2009, trasmesso in bianco e nero sul web da una piccola sala del Museo delle Arti di Berkeley, in California. Alle sette della sera lo scrittore cyberpunk Bruce Sterling si è presentato in video con un cappellaccio da becchino e l´aria beffarda. Pensavate che sarebbe durata per sempre, vero?, e invece la vecchia televisione è finita. Morta. Ci mancava solo che dicesse "hurrà!".
In Italia il decesso è stato constatato con un certo ritardo. Circa due anni e mezzo. In compenso la cerimonia è stata molto curata, sono venuti i parenti stretti e anche gli eredi da tutto il mondo. Il rito funebre si è svolto in livestreaming venerdì scorso, il 30 settembre 2011, da un altro museo d´arte, il Maxxi di Roma, nella imponente struttura realizzata da Zaha Hadid a un chilometro in linea d´aria dalla sede della Rai di viale Mazzini, mai come quel giorno, forse, apparsa come un monumento del nostro passato. In compenso il futuro aveva un titolo criptico: TedXTransmedia. Dove Ted sta per il network internazionale di persone che ritengono di avere idee rivoluzionarie da diffondere; ma è Transmedia la parola chiave. Indica quello che diventerà la tv dopo che l´arrivo di Internet ha disintegrato i palinsesti creando un luogo metafisico dove lo spettatore è libero di costruirsi la sua storia in qualunque momento, su qualunque piattaforma. Anywhere, anytime. Per i cultori della vecchia tv lo choc equivale a quello che ebbero i sacerdoti tolemaici quando gli dissero che la Terra non era più il centro di tutto ma girava attorno al Sole. Solo che il Sole stavolta siamo noi: gli ex telespettatori passivi.

Il fenomeno è mondiale, ma è in Italia che sta facendo più rumore: perché comporta la fine del modello unico televisivo, ovvero il fatto che per un ventennio un italiano su due, qualunque cosa andasse in onda, fosse sempre sintonizzato su Rai1 e Canale 5; e che certi programmi scandissero non solo le nostre giornate ma le nostre stagioni, anno dopo anno; e che in definitiva fosse una sola persona a decidere cosa avremmo visto e cosa avremmo saputo e quindi se per esempio se non volevi far passare un referendum, bastava che la tv non ne parlasse. Come direbbe Sterling: quella roba è finita. Hurrà!
I dati dello smottamento del pubblico sono netti e non dipendono solo dalla moltiplicazione dei canali digitali: c´è di più della coda lunga in questa rivoluzione innescata non dal telecomando, ma dai mouse, dai tablet e dagli smartphone. Prendiamo i telegiornali: apparentemente restano il centro della informazione per l´80 per cento degli italiani ma in realtà è cambiato tutto. Intanto oggi chi li guarda può reagire e se il Tg1 dà una notizia falsa questa a sua volta in rete diventa la Notizia e migliaia di persone firmano e si agitano finché non arriva la Smentita. Il secondo dato è più profondo ed è generazionale, riguarda quelli che hanno fra 14 e 29 anni. La loro foto l´ha scattata il Censis qualche mese fa, nel "Rapporto sul consumo dei media". Rivela che, quando si tratta di news, Google vale come un tg, mentre il sito di un quotidiano di informazione è già meglio di Televideo.
E´ in questa fascia di età che si è aperta la crepa nel muro della vecchia tv, tra i nativi digitali. Ancora dal Censis: uno su quattro guarda i programmi dai siti web delle emittenti tv; uno su tre li vede sul computer dopo averli scaricati; e addirittura uno su due li guarda su YouTube. Magari a pezzi, solo i cinque minuti che interessano: la copertina di Crozza a Ballarò, la chiusura di Annozero con Vauro, l´inno di Mameli recitato da Benigni a Sanremo. Ecco. Non c´è più bisogno di sorbirsi un programma intero ad un orario preciso, come se fosse la messa della domenica: per godere di una cosa che ci piace ora c´è YouTube, quando ci pare.
Quello che sta accadendo con YouTube è esemplare. La percezione generale è che si tratti solo del cantiere che sforna nuovi talenti autoprodotti con dati di traffico talvolta spaventosi (le 41 milioni di visualizzazioni del canale personale del giovane Guglielmo Scilla restano un mistero per molti addetti al lavori). In realtà è diventata la piattaforma delle piattaforme video. Il posto dove rivedere quello che ci siamo persi in tv. Ed il bello è che è legale, oltre che remunerativo per tutti. Il meccanismo si chiama Content ID, svilupparlo è costato 30 milioni di dollari ed è stato introdotto esattamente cinque anni fa: il 4 ottobre 2006. L´obiettivo era far sì che gli utenti continuassero a caricare spontaneamente spezzoni di tv sul sito ma che le emittenti non facessero ogni volta una causa per violazione del copyright. La soluzione immaginata fu Content ID, uno strumento con il quale ogni emittente, in presenza della clip di un suo programma, può fare tre cose: monitorare il comportamento del pubblico; monetizzare i proventi pubblicitari incassati da YouTube; bloccare quella clip per un paese o anche per tutto il mondo.
Ogni giorno l´algoritmo di Content ID effettua la scansione e il controllo di cento anni di video; e ogni settimana gli oltre duemila partner monetizzano un milione di file individuati in automatico. In Italia i partner sono un centinaio, dalla Rai a La7: non c´è Mediaset e questa assenza vuol dire molte cose sull´atteggiamento del gruppo verso la rete.
Internet però ha stravolto la televisione in modo molto più profondo che attraverso un semplice replay di programmi. L´ha fatta diventare social, tanto che in America alcuni già parlano dell´esistenza di una Twitter Tv. L´anno scorso le puntate di Annozero erano sempre "trending topic", ovvero l´argomento più discusso della rete. Ilaria D´Amico ad Exit è stata la prima a mandare in sovraimpressione i tweet più efficaci: non è banale, la differenza rispetto agli sms è come fra un bufalo e la ferrovia. L´sms ha la strada segnata, lo mandi a un programma ma se lo ignorano nessuno lo sa; il tweet viaggia in rete e anche se il conduttore non lo segnala, può cominciare a girare, apre conversazioni incontrollabili. Qualche giorno fa a L´ultima parola, Gianluigi Paragone ha esordito così: scriveteci su Twitter cosa pensate. Poi se ne è dimenticato, intanto in rete succedeva di tutto. "Lo ammetto, è stato sorprendente". Mentre Serena Dandini, la sera in cui sarebbe dovuto andare in onda Parla con me, era su Twitter a salutare il pubblico orfano del programma: "Buonaseeeera". Sapeva che molti erano lì.
La frontiera del Transmedia è ancora un po´ più in là. L´esempio migliore è stato il serial tv Lost. In Italia i fan lo guardavano su Internet molti mesi prima dell´arrivo in Italia sui canali tv. Veniva sottotitolato da volontari organizzati in gruppi e partivano discussioni in rete. Alcuni aggiornavano la Lostpedia. Altri in attesa della trasmissione ufficiale seguivano videogiochi o fumetti ad hoc. E quando finalmente le puntate arrivavano in tv, c´era già una conversazione pazzesca. Per misurare tutto questo l´Auditel non basta più: negli Stati Uniti hanno realizzato un social ranking, si chiama SocialSenseTv e dimostra che Lost è migliore di American Idol che pure ha più spettatori.
In senso lato, anche la primavera araba è stata un evento transmediale, come ha spiegato l´altro giorno al Ted il direttore di Al Jazeera Mohamed Nanabay: c´erano i tweet, c´era Facebook, c´era YouTube e c´era la diretta di Al Jazeera. Ma soprattutto c´erano il coraggio delle persone in piazza. «Il video amatoriale del giovane che ferma il blindato che sparava acqua, è stato ritrasmesso dalla tv di tutto il mondo e ogni volta che qualcuno lo vedeva a piazza Tahir il coraggio cresceva e il giro social ricominciava».
Che impatto avrà tutto questo in Italia? Nicoletta Iacobacci l´Italia l´ha lasciata tanti anni fa, «dopo aver creato il primo sito Internet della Rai nel 1993»: oggi vive a Ginevra dove dirige la Multipiattaforma dell´Unione Europea delle Emittenti tv. Dice: «La mia teoria è che il servizio pubblico ha la possibilità di ricrearsi, di tornare a fare servizio pubblico aggregando comunità, che diventando proattive, possano contribuire a fare del bene. Le nuove piattaforme, la comunicazione non lineare, hanno la capacità di cambiare i paesi… vogliamo aspettare? O vogliamo partecipare a questo cambiamento? Parlo di contenuti socialmente responsabili, e non per questo noiosi, anzi». Ma per questo forse occorre aspettare ancora un po´.
Intanto il buon vecchio palinsesto è saltato per aria. E con esso il modello unico di televisione, il controllo sociale, politico e comportamentale che implicava. E´ la fine di un´egemonia culturale durata più di vent´anni. Una svolta storica, che ne spiega e ne prepara altre, perché, come sempre, la televisione anticipa i tempi.