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 2011  settembre 22 Giovedì calendario

PIU’ CHE GANDHI BEPPE GRILLO

Il ciclone Hazare ha spiazzato l’India e potrebbe presto ripresentarsi sulla capitale Nuova Delhi, questa volta con effetti ancora più preoccupanti per la leadership del paese e per troppi interessi cresciuti all’ombra della politica e tra le pieghe dell’immensa democrazia indiana. A guidare un movimento di protesta che al momento ha più l’aspetto di una riscossa della classe media con la benedizione dell’induismo radicale e di frange della società civile, è un ex militare passato al pacifismo ma ancor più paladino dell’impegno per la moralizzazione della vita pubblica.
Anna Hazare che alcuni hanno già definito il “nuovo Gandhi”, da trent’anni è impegnato in una campagna contro la corruzione che, partita vittoriosa dal natìo Stato del Maharashtra, ha raggiunto la capitale federale. Un po’ tribuno alla Di Pietro, non-politico capace di "agganciare" attenzione e sostegno nel segno della moralizzazione alla Beppe Grillo, i suoi metodi sono più quelli di un Pannella come anche la parzialità dell’impegno su princìpi che si vorrebbero universali. Ispirato da Gandhi nei metodi, niente in realtà smuove Hazare dalla sua appartenenza a un induismo tutt’altro che riformista, che colpisce alcuni degli effetti della discriminazione insita nella tradizione castale ma non sfida princìpi, metodi e interessi su cui questa si basa e perpetua. Un elemento evidenziato dalla scrittrice e attivista per i diritti civili Arundhati Roy proprio nei giorni dell’ultima, poderosa protesta di Hazare.
Dopo un primo braccio di ferro nel dicembre 2010 e uno sciopero della fame lo scorso aprile che ha costretto il governo ad aprire un tavolo di negoziato con la società civile per far progredire la legge anti-corruzione (Jan Lokpal Bill) da anni ferma a livello di bozza, Hazare ha deciso un mese fa di forzare la mano. Arrestato con i suoi più stretti collaboratori mentre stava avviando un nuovo sciopero della fame il 16 agosto, Hazare è stato liberato due giorni dopo davanti alla protesta spontanea di migliaia di sostenitori fuori dal carcere di Tihar e di milioni in tutto il paese. Trasferitesi dalla prigione alla grande spianata del Ramlila, nel cuore della capitale, per 13 giorni il 73enne Hazare ha respinto le richieste del governo per un accordo che potesse consentire al Parlamento di approvare una bozza di legge diversa da quella approvata in precedenza dai gruppi della società civile, e anche gli appelli a sospendere una protesta che avrebbe potuto costargli cara. Alla fine la sua testardaggine e il crescente numero di sostenitori hanno spinto il premier Monmohan Singh a proporre l’approvazione con procedura d’urgenza della carta originale e il contemporaneo avvio di appositi giurì anti-corruzione nei vari stati come pure la stesura di codici di comportamento per i vari settori del pubblico impiego.
Una protesta alla fine vincente, quella di Hazare, che ha utilizzato metodi antichi e una copertura mediatica mai vista e ha messo in difficoltà un sistema sempre più diffuso e profondo di corruzione prosperato nella “più grande democrazia del mondo” sotto la guida del Partito del Congresso, laicista, ugualitario e modernista; erede dell’impegno civile gandhiano ma vittima delle logiche di potere a livello locale e centrale, come pure dell’elefantiaca burocrazia e dei molti mali che vi si annidano. A partire dalla corruzione, che va infiltrando ormai tutti i settori della vita pubblica.
Lo scorso anno l’India è scivolata di tre posizioni nell’Indice di corruzione percepita secondo il rapporto stilato da Transparency International, scendendo all’87esimo posto su un totale di 178 paesi considerati. A contribuire alla poco lusinghiera posizione in graduatoria, il "saccheggio" operato dai responsabili dei Giochi del Commonwealth, tenutisi a Delhi dal 3 al 14 ottobre 2010, che ha prosciugato la metà dei 700 miliardi di rupie (circa 14 miliardi di euro) di fondi messi a disposizione per un evento a suo tempo definito "epocale", non solo per lo sport. Solo un esempio, ma talmente grave che non è passato inosservato. I mass media ne hanno tratto abbondante spunto per segnalare, finalmente con abbondanza di dati, come la vita quotidiana degli indiani sia segnata da un malaffare che prospera incontrastato.
Come ricordava allora il giornalista Rahui Bedi, citando un funzionario governativo di alto livello, «per sopravvivere oggi in India, un individuo deve avere influenza o denaro, oppure entrambi». Indiani di ogni censo e casta devono infatti pagare sottobanco per vedersi garantire una lunga serie di servizi in teoria dovuti: certificati di nascita, passaporti, tessere annonarie, patenti di guida, allacciamenti di luce e acqua, approvazione di progetti edilizi, prestiti bancari e addirittura l’accesso al posto di lavoro. E come ricorda il rappresentante locale di Transparency International, P. S. Bawa: «L’India non solo è salita nella scala della corruzione e scesa in quella dell’integrità, in sé motivo di dispiacere, ma il suo livello di gestione non è migliorato, nonostante il paese abbia anche amministratori capaci».
Una popolazione che sorpassa gli 1,2 miliardi di individui che abitano un paese su scala e frammentazione continentale, basso livello di scolarizzazione e di benessere, insufficiente applicazione della legge, interessi molteplici e sovente coalizzati hanno prodotto sempre maggiori opportunità di corruzione. I più colpiti sono i poveri e le classi medie. I ricchi e potenti possono pagare per uscirne, i poveri sono troppo vulnerabili per reagire e nemmeno conoscono a fondo i loro diritti. Di conseguenza, è soprattutto la middle class urbana, più istruita e più intraprendente che subisce in pieno la corruzione e ne è più preoccupata.
Non a caso, dunque, proprio il ceto medio urbano, in questa occasione in comunione d’interessi con movimenti d’ispirazione gandhiana, parte della società civile e la "benedizione" delle espressioni politiche del radicalismo induista all’opposizione in Parlamento, ha sostenuto e accompagnato finora la "rivolta" contro il sistema portata nelle piazze indiane da Hazare con una intensità senza uguali da molti anni.