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 2011  settembre 22 Giovedì calendario

Anche la soap piange Ora le donne preferiscono il reality- Qualcuno ha già pronosticato una data: 2020

Anche la soap piange Ora le donne preferiscono il reality- Qualcuno ha già pronosticato una data: 2020. L’anno in cui per le soap opera non ci sarà più spa­zio, in tv. The end. Così va in Ame­rica, perché così dicono i guru del marketing, le indagini sul pubbli­co, le cifre degli ascolti. In calo, senza speranza, da anni. Ed ecco che anche per le storie senza fine arriva la conclusio­ne, un po’ inglorio­sa, certo non dram­matica come si conviene ai loro in­trecci infiniti, cer­to niente a che ve­dere con intrighi, incesti, fratella­stri, colpi di scena, no, è soltanto una questione di calcolo e di tempi che cambiano: il prodotto ormai costa tantissimo e vende troppo poco, dicono gli esperti america­ni. Pazienza se le loro madri saran­no scontente e terranno il muso, le donne di oggi vogliono altro. Do­mani chiude All my children , che in italiano è la famosa Valle dei pi­ni , serie storica che ha fatto com­pagnia a milioni di spettatrici per quaranta anni e rotti: la Abc man­da in onda l’ultima puntata e poi addio, al suo posto arriverà un pro­gramma di cucina glamour che si intitola The Chew ( tradotto signifi­ca «la masticata»...). All my children è stato una spe­cie di istituzione, la protagonista Erika, cioè l’attrice Susan Lucci, uno dei volti più amati e conosciu­ti della tv americana, e i fan hanno protestato. Ma niente è servito a fa­re cambiare idea ai signori della Abc, dopo che a marzo la serie ha registrato il picco più basso di sem­pre: appena 463mila spettatrici nella fascia clou, quella fra i 18 e i 49 anni. Che è come dire: fra le donne più giovani non ha futuro. E infatti gli studi del settore dico­no che le spettatrici ormai hanno cambiato stile di vita, lavorano, hanno poco tempo, hanno altri gu­sti: i sogni da soap opera non fan­no più per loro, quelle trame len­te, infinite, labirintiche, da segui­re in ogni dettaglio, in ogni alzata di sopracciglio, in ogni sillaba sus­surrata a mezza bocca, in ogni nuovo tassello di un albero genea­l­ogico imprevedibile quanto irrea­listico. La fine sembrava impossibile e invece alla fine arriva, travolge tut­to un mondo di finzione così para­dossale, così eccessiva da essere rassicurante, una presenza fami­liare, quei personaggi chirurgica­mente perfetti che da anni faceva­no bella mostra nei salotti e nelle cucine di migliaia di case. Dopo 42 anni chiude anche One life to li­ve ( Una vita da vivere ), che a gen­naio 2012 dovrà fare spazio a un re­ality, protagoniste delle donne che dovranno perdere peso (do­vrebbe chiamarsi The Revolution , e non è chiaro il perché). Un autore di All my children ha confessato a Foxnews che nel set­tore tutti sanno che non ci sono chance, e sperano di riciclarsi nei reality. Le soap destinate a estin­guersi come il dodo, le cabine del telefono, le cartoline. Dicono che la crisi sia comin­ci­ata negli anni No­vanta: un periodo di splendore, i pri­mi anni di Beauti­ful ; poi il processo a O.J. Simpson e il primo distacco. Il pubblico ha sco­perto che la realtà poteva essere an­cora più succosa delle soap, e ha gi­rato canale. La Cbs ha cancellato Guiding Light nel 2009 (la storica Sentieri ) e As the world turns ( Così gira il mondo ) nel 2010, poi la deci­sione della Abc. Si dice che anche per Beautiful il de­stino sia segnato. Perfino il Washington Post ha sparso qual­che lacrima di rimpianto per «le nostre storie»: «Qualcosa di valo­re si perde nella cultura ». E qualcu­no potrà pure sorridere, ma da an­ni milioni di donne sognano con le telenovelas, e i produttori han­no macinato miliardi. Però poi questi drammoni non è che siano finiti del tutto, All my children e One Life to live si trasferiranno su internet: come in origine erano passati dalla radio alla tv, oggi si muovono su un mezzo più nuovo. Del resto l’ultima puntata di All my children , domani, parla di re­surrezione: un amante che rispun­ta dal mondo dei morti, un classi­co del genere, quasi a tentare di smentire certi profeti. Che guarda­no al business, non hanno l’imma­ginazione di certe donne, e di certi sceneggiatori.