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 2011  settembre 22 Giovedì calendario

MILANO —

Si sgranchisce le dita, le contrae, le stende... Uno stretching di rito in camerino, dopo ogni concerto. Quelle mani capaci di volare sulla tastiera sono il suo tesoro. Mani d’oro. E non solo per metafora. Grazie a loro, a 29 anni, Lang Lang è il pianista più brillante e popolare del pianeta. Il concerto dell’altra sera alla Scala, il quinto e ultimo del ciclo dedicatogli dal teatro lirico milanese, come sempre è stato un trionfo. Bach, Schubert, Chopin, uno dopo l’altro, in un crescendo vorticoso. Per i bis, Liszt.

Il sublime Franz che, complice un gatto in frac al pianoforte, ha cambiato per sempre la sua vita
«Ormai è una leggenda — ride Lang Lang —. Ma è andata proprio così. Avevo 2 anni, come i tutti i bimbi guardavo i cartoni animati in tv. Ma quell’episodio di Tom e Jerry, "The Cat Concert", con Tom che suonava come un forsennato una musica meravigliosa, mi folgorò. Sapevo a malapena parlare, ma feci chiaramente capire ai miei genitori che anch’io come quel gatto, volevo mettere le mie zampette su quello strumento magico, capace di sprigionare suoni così straordinari. Mio padre, Lang Gouren, musicista, maestro di violino cinese, non sognava altro. Impegnò metà del suo stipendio annuale e dopo qualche giorno un piano verticale fece la sua entrata trionfale nella nostra modesta casa».

E da quel momento divenne il suo giocattolo preferito.
«L’unico. Con cui "giocare" da mattina a sera. Sei, otto, dieci ore al giorno... Prima di emulare Tom nella Rapsodia Ungherese n.2, così si chiamava il brano, c’è voluta tanta fatica, tanto impegno. Ma Liszt mi ha ripagato di tutto».

Un legame ininterrotto, cresciuto nel tempo.
«Liszt è il mio eroe. Il compositore che ha schiuso le porte alla musica moderna, il pianista che ha rivoluzionato il modo di suonare. Quando ho visto in tv Elvis Presley, non so perché ma ho pensato a lui. Liszt è una rock star, uno capace di calamitare le folle. Per me una fonte d’ispirazione perenne. A 9 anni suonavo la sua Tarantella, a 10 la Campanella, a 11 la Rapsodia Ungherese n.1, a 12 la numero 2, a 16 la versione di Horowitz... Nel mio nuovo cd, appena uscito da Sony Classical, eseguo parte di quei brani. Più il Concerto per pianoforte n.1 con la Vienna Philharmonic diretta da Valery Gergiev».

Da 27 non passa giorno senza suonare. Ambasciatore culturale della nuova Cina. Superstar della tastiera capace di riempire gli stadi. Il prezzo da pagare?
«Alto. Molto alto. Per andare al Conservatorio ho dovuto lasciare mia madre a 9 anni, trasferirmi a Pechino con mio padre. Che per me aveva lasciato il lavoro, su di me aveva investito tutto, ma tutto pretendeva. Devi diventare il numero uno, la frase che ha ossessionato la mia infanzia. Mi negava cibo e acqua finché non avessi suonato tutto il tempo che diceva lui. Quando fui cacciato da un insegnante che mi aveva preso in antipatia, lui divenne come pazzo. Mi insultò in tutti i modi, mi disse che la mia vita era inutile, mi ordinò di buttarmi dalla finestra. Eravamo all’undicesimo piano».

Per fortuna lei disobbedì.

«Non sarei qui altrimenti... Naturalmente era fuori di sé. Naturalmente si è subito pentito di quelle parole. Però, è stato terribile. Per un lungo periodo, per dieci anni, ho rotto ogni rapporto con lui. Poi ci siamo riconciliati, lui ha capito che aveva esagerato con i suoi metodi, io mi sono reso conto che tutto quello l’aveva fatto pensando al mio bene. Se vuoi diventare il numero uno in un Paese con oltre 20 milioni di studenti di piano, la disciplina deve essere ferrea. Adesso mio padre gestisce una scuola per talenti della tastiera con la maestra Zhu Ya-Fen, che per prima ha creduto in me».

La rivista «Time» l’ha inserita tra le 100 persone più potenti della terra...
«Spaventoso, no? Scherzi a parte, i miei superpoteri cerco di usarli al servizio della musica. La mia fama è servita: i bambini che studiano pianoforte in Cina sono raddoppiati, oggi sono circa 40 milioni. Con la mia Fondazione cerco di promuovere la conoscenza della musica nei Paesi dove non la si insegna. Di aiutare i giovani con più talento. È il mio modo di restituire al mondo».

E per i potenti della terra lei ha molte volte suonato, dalla regina Elisabetta a Sarkozy, da Putin a Obama... Un ricordo della Casa Bianca?
«Le chiacchiere con le figlie di Obama. Malia e Sasha mi hanno tempestato di domande. Volevano sapere come faccio a suonare così bene senza essere troppo nervoso. Gli ho svelato il mio segreto: una coppa di fragole e cioccolata prima del concerto».

Tra poco la vedremo al cinema come attore...
«Mi sono molto divertito a girare The Flying Machine, un film in parte d’animazione, su Chopin. Io interpreto me stesso che rende omaggio a quel grande compositore. Mi vedrete suonare la sua musica sospeso tra le nuvole».

Tra poco al cinema la sentiremo anche: è lei che suona la trascrizione del wagneriano «Idillio di Sigfrido» in «A Dangerous Method», il film di Cronenberg su Freud e Jung.
«Confesso che non ne so molto di quel "metodo". La mia psicanalisi la faccio suonando. Interpretare Schubert vuol dire affrontare i suoi conflitti... Quanto ai sogni, ne ho uno ricorrente: sto componendo musica. Mi sento felice, trascinato in nuove melodie. Poi mi sveglio, e di quella musica bellissima non mi resta attaccata nemmeno una nota. Che direbbero Freud o Jung?»

Giuseppina Manin