Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  settembre 22 Giovedì calendario

ARTE POVERA

«Un´arte che trova nell´anarchia linguistica e visuale, nel continuo nomadismo comportamentistico il suo massimo grado di libertà ai fini della creazione». Sono parole del critico Germano Celant, il padre dell´Arte Povera. Correva l´anno 1968, non uno qualsiasi ma proprio il Sessantotto, e Celant presentava così i "suoi" artisti alla galleria de´ Foscherari di Bologna. Dove avevano esordito nella mostra Arte Povera e Im spazio esattamente un anno prima, quel 1967 oggi considerato la data di inizio di una grande avventura. L´Italia, infatti, schierava finalmente un gruppo di artisti a giocare la propria partita su un campo internazionale. La formazione in rigoroso ordine alfabetico era la seguente: Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio. Nel corso del Novecento era successo soltanto un´altra volta che si vincesse fuori casa. Era il 1909, Filippo Tommaso Marinetti aveva chiamato a raccolta i pittori futuristi e, anche il quel caso, la parola d´ordine era un´arte che si sporcasse le mani con la vita.
Toccava comunque a Celant e all´Arte Povera, tirar fuori l´arte italiana da quella periferia in cui si era andata a infilare dall´Ottocento in avanti. E per riportarla al centro era necessario fare piazza pulita di ciò che appariva vecchio, stantio, abusato. Le parole che riecheggiavano nell´anno delle rivolte e delle proteste – creazione, libertà, anarchia – diventarono una volta per tutte parte del patrimonio linguistico di questi artisti. Ancora oggi così lontani e così vicini. Tutti pronti a sperimentare idee, materiali, situazioni, a mettere in gioco il senso stesso dell´arte, dello spazio a questa destinato, del rapporto tra l´artista e lo spettatore. Ma ognuno di loro attento a percorrere, senza deragliare sui binari altrui, la propria strada individuale. Tra il 1967 e il ´68 l´Arte Povera era solo un´ipotesi. Si sarebbe scoperto solo vivendo – è proprio il caso di dire, perché i lavori di cui si sta parlando non sono mai inerti – che l´energia espressa dall´uso della materia (la pietra, il carbone, il legno, gli stracci) nel suo stadio grezzo e primordiale, le possibilità poetiche degli elementi come l´acqua e il fuoco ma anche l´elettricità, i vegetali e addirittura gli animali, l´abbandono del quadro e della scultura per un´arte che fosse quotidiana e richiedesse anche la partecipazione attiva dello spettatore, la varietà delle soluzioni, la capacità di spaziare e di utilizzare qualsiasi mezzo e di creare inediti circuiti di diffusione, il coinvolgimento del mondo primario ed essenziale, la frattura sanata tra l´alto e il basso, avrebbero creato un vero e proprio arcipelago in cui, ancora oggi, ogni isola ha la sua ragione di essere abitata.
La mostra Arte Povera 2011, curata da Germano Celant, è realizzata proprio com´è nato il movimento: non un solo punto di vista, né solo un luogo o un solo racconto. Semmai una "sola moltitudine", più voci che intonano la propria partitura in una perfetta resa polifonica. I numeri parlano chiaro: sono coinvolti sette città e otto musei, 250 lavori di artisti italiani datati dal 1967 al 2011, affiancati da quel contesto internazionale di cui ormai fanno parte senza ombra di dubbio, composto da 50 opere di europei e americani, esponenti di movimenti che hanno una relazione con l´Arte Povera. E poi sezioni dedicate ai diversi linguaggi: dalla fotografia al libro, dal video al teatro. Il tutto accompagnato da un catalogo Electa di 700 pagine, 33 saggi e 580 illustrazioni. Disseminata in uno spazio di 15 mila metri quadrati, la kermesse, realizza nel nome dell´Arte Povera l´unità d´Italia, perché congiunge il Nord al Sud, Torino a Bari, passando per Milano, Bergamo, Bologna, Roma e Napoli.
Se la parola passa alle opere è subito chiaro come sia variegato il panorama visivo salito su un palcoscenico che oggi è già quello della storia dell´arte. Colpisce il rigore, la serietà, la convinzione di compiere atti densi di significato. Anche laddove si ha a che fare con l´ironia e la leggerezza, come può accadere di fronte alle opere di Pino Pascali o magari in certe soluzioni di Alighiero Boetti, si ha sempre la sensazione che ciò che sta avvenendo sia una specie di ritualità che riguarda la relazione tra l´arte e la vita. Così succede di fronte alla potenza arcaica dell´opera di Mario Merz, forse colui che più di ogni altro ha raccolto il testimone del Futurismo, con il suo rapporto con la scienza, i numeri di Fibonacci, l´evoluzione degli animali, ma anche con la luce nei suoi vitalistici neon. Tutto qui avviene sul crinale di un confronto raffinato tra la natura e l´artificio, tra l´artista e l´ambiente che lo circonda. Nasce da qui, da un´idea di tensione spaziale gran parte del lavoro di Giovanni Anselmo come Grigi che si alleggeriscono che si potrà vedere alla Triennale di Milano, con il castello di Rivoli Museo d´Arte Contemporanea, istituzione promotrice di tutta l´iniziativa. Giuseppe Penone lascia emergere l´anima dei suoi alberi, delle sue foglie. C´è l´equilibrista Luciano Fabro accanto a profeti del concetto come Giulio Paolini e sacerdoti della materia come Jannis Kounellis o Pier Paolo Calzolari. Ci sono i racconti intimi e silenziosi di Marisa Merz, quelli cosmici di Gilberto Zorio, immateriali di Emilio Primi e quelli declinati in maniera universale da Michelangelo Pistoletto. Un´arte di energia che pulsa, respira. Non è mai statica ed è capace di creare armonie, ma anche contrasti, tra la misura dell´uomo e quella della natura. Certa di recuperare le proprie radici in qualcosa di primigenio, arcaico e originario. Insomma, nell´attimo in cui si affaccia la vita.