Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  settembre 21 Mercoledì calendario

Divjak Jovan

• Belgrado (Serbia) 11 marzo 1937. Ex generale dell’esercito bosniaco, il 3 marzo 2011 fu arrestato in Austria all’aeroporto Schwechat di Vienna su mandato di cattura emesso dalle autorità di Belgrado, che lo accusano di crimini di guerra nel 1992 a Sarajevo. Unico serbo ai vertici dell’esercito bosniaco, è considerato l’eroe della difesa di Sarajevo nella guerra civile del 1992-1995. Il suo arresto provocò in Bosnia forti proteste • «Per i sarajevesi e i bosniaci e per chiunque abbia frequentato quella tragedia [...] è una figura leggendaria. Si può dire di lui come di un eroe di guerra, se questa espressione non togliesse molto alla cordialità sua e all’affetto della sua gente. La sua gente non si definisce per la nazionalità, ma per l’umanità, quella di cui in un tempo felice Sarajevo fu il nido caldo. E lui si definisce così: bosniaco, e umano. Né serbo né croato né musulmano, in quel crogiuolo rovesciato cui è stata degradata la Bosnia dalla furia sciovinista. Divjak è serbo di origini e di nazionalità, e quando la Jugoslavia è andata in pezzi era un alto ufficiale dell’esercito. Decise di restare a Sarajevo, fu considerato un disertore dai serbisti, e il peggiore dei traditori quando prese la decisione di distribuire le armi ai resistenti bosniaci. Non bisogna però pensare a lui come a un transfuga e a un rinnegatore dei suoi padri e madri. Una notte, chiusi in una casa amica, dopo aver mangiato e bevuto come si poteva col coprifuoco e l’inverno in una città assediata, cantammo tutte le canzoni, e alla fine lui cantò bellissime canzoni popolari serbe, di quelle che non avevano nessuna colpa dell’infamia in corso. Il suo personale valore gli procurò una popolarità così forte da fare ombra ad alcuni dei capi bosniaco-musulmani, nazionalisti a loro volta, che pure del suo impegno si erano tanto avvalsi. Così, dopo essere stato il vicecomandante delle operazioni militari di difesa, fu di fatto emarginato, e diventò il generale che si incontrava dappertutto nella città assediata, e che si prodigava per i suoi concittadini. Già durante la guerra, e dopo la sua fine nel 1995 - se si può chiamarla guerra, e se si può dirla finita - si adoperò specialmente, con l’associazione volontaria intitolata Obrazovanje Gradi BIH (L’istruzione costruisce la Bosnia Herzegovina) a promuovere gli studi degli orfani di guerra e dei ragazzi bisognosi, senza riguardo alcuno alle loro origini “etniche” (e si ricordi che fra i bosniaci musulmani e croati e serbi non c’è alcuna differenza “etnica”: caso clamoroso ma non raro di invenzione razzista). Grazie alla sua associazione hanno potuto studiare, dalle scuole primarie all’università, molte centinaia di ragazzi, 120 fra loro rom bosniaci. [...] Sapeva del mandato di cattura emesso contro di lui dal governo serbo, ma non intendeva lasciar limitare la propria libertà da quella provocazione. La notizia del suo arresto è stata uno schiaffo in faccia alla gente di Sarajevo e della Bosnia, e ai tantissimi amici che Divjak si è fatto nel mondo. [...] Lui è un uomo magnifico, e non ha paura di niente. [...]» (Adriano Sofri, “la Repubblica” 5/3/2011).