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 2011  settembre 21 Mercoledì calendario

ADESSO A TREMONTI SERVONO SUBITO ALTRI 17 MILIARDI

Due grossi problemi in un giorno, un’unica soluzione (forse): l’ennesima manovra, che tocca le pensioni. Le nuove previsioni sulla crescita del Fondo monetario internazionale e il downgrading di Standard & Poor’s
confermano le peggiori paure: il pareggio di bilancio nel 2013, al momento, non c’è. Nonostante le manovre che, cumulate, valgono 60 miliardi di euro, nel 2013 l’Italia avrà un deficit dell’1,1 per cento. E la ragione è preoccupante: la crescita sarà bassissima, +0,6 per cento nel 2011 (quindi con un finale d’anno negativo, visto che abbiamo già acquisito lo 0,7) e 0,3 nel 2012.
Ce la può fare un Paese così immobile ad affrontare la buriana dei mercati finanziari? La risposa del Fondo monetario è sibillina. L’Italia “può reggere spread nell’ordine dei 300-500 punti base per alcuni anni, il tempo necessario per invertire la dinamica del debito ma a condizione che l’avanzo primario cresca come previsto”. Il messaggio è chiaro: se il risanamento dei conti non procede come previsto, l’Italia non può sopravvivere a uno spread (la differenza tra quanto costa il debito italiano e quanto quello tedesco) di 500 punti. Ieri è arrivato di nuovo a fiorare i 400. O applichiamo un rigore tedesco al bilancio riducendo il debito (e non solo il deficit, che è la misura di quanto le uscite superano le entrate nel-l’anno in corso), oppure il costo del nostro debito non sarà sostenibile.
SE VOGLIAMO davvero azzerare il deficit nel 2013, mancano almeno 17 miliardi (a tanto ammonta, circa, l’1,1 per cento di deficit). Il ministro del Tesoro Giulio Tre-monti annuncia un “piano decennale per la crescita”. Difficile che basti a placare lo scetticismo dei mercati, dimostrato dalla decisione dell’agenzia di rating Standard & Poor’s di declassare il nostro debito da A+ ad A.
Sia il Fondo che S&P hanno ripetuto che non si può più intervenire con i tagli che deprimono la crescita, o il problema peggiora invece che migliorare, visto che si continua a ridurre la domanda interna perché gli italiani hanno meno soldi in tasca. Durante la conferenza telefonica con gli analisti, i dirigenti di Standard & Poor’s hanno spiegato di non credere alle vendite del patrimonio pubblico: questo è in gran parte degli enti locali che, se vendono i loro immobili, lo fanno solo per compensare i tagli ai tra-ferimenti da Roma. Non per ridurre il debito, che è la vera priorità. Prima ancora di intervenire sul debito, il governo dovrà comunque annunciare nuovi interventi per rassicurare almeno l’Europa sul pareggio di bilancio nel 2013. E le possibilità in campo non sono molte: una vera stretta sulle pensioni (cancellando quelle di anzianità) e magari una patrimoniale. Anche se, come ha ricordato Standard & Poor’s ieri, fondare il risanamento sulle entrate ha il forte punto debole che non si sa quale sarà il vero gettito delle nuove tasse.
C’È POI IL PUNTO politico. La sentenza dell’agenzia di rating è molto esplicita: “Quella che noi vediamo come una risposta titubante da parte del governo alle pressioni dei mercati lascia presupporre una perdurante incertezza politica sui mezzi per affrontare le sfide dell’economia italiana”. E l’avvicinarsi delle elezioni nel 2013, scrive sempre S&P, complica l’adozione di quelle politiche di liberalizzazione impopolari ma necessarie per il Pil. Che possiamo fare quindi? “Non è compito nostro dare indicazioni ai governi”, ha risposto l’analisti di S&P Meritz Kraemer ai giornalisti. Ce la dobbiamo sbrigare da soli.