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 2011  settembre 21 Mercoledì calendario

RATING, IL MERCATO FA DA SÉ

Il cinque agosto scorso, quando Standard & Poor’s declassò gli Stati Uniti togliendo loro lo scettro della "Tripla A", i titoli di Stato decennali Usa rendevano il 2,56%: ora, un mese e mezzo più tardi, offrono un tasso dell’1,94%. Anche i credit default swap (polizze anti-insolvenza) sono scesi: dai 55 punti base del 5 agosto ai 50 attuali. Insomma: il declassamento è stato, per gli Usa, un toccasana più che una iattura. Questo aneddoto dimostra che il rating da solo non può affossare uno Stato. Che i rating non sono gli "untori". Dimostra che la reazione del mercato ai declassamenti non è automatica, ma varia da Paese a Paese e da situazione a situazione. Dati alla mano: il mercato reagisce peggio di fronte all’incertezza politica che davanti a un taglio del rating. Le accuse alle agenzie suonano spesso come la foglia di fico dietro cui celare le mancanze della classe politica.

Le agenzie di rating possono essere accusate di avere preso grandi abbagli: dagli errori clamorosi su Parmalat e Lehman, fino a quelli sui mutui subprime. Possono essere additate per i loro conflitti di interesse. Ma non per affossare gli Stati. Le controprove sono quasi quotidiane. Se non si vuole guardare gli Stati Uniti, basta prendere il caso della Grecia. Il Paese è stato declassato il 13 giugno (da "B" a "CCC") e poi il 27 luglio (da "CCC" a "CC"). In entrambe le occasioni lo spread dei credit default swap (termometro che indica il rischio-Paese) è salito di 44-48 punti base in un giorno, per poi frenare la crescita nelle sedute successive. Rincaro evidente, certo. Segnale di deterioramento, ovvio. Ma nulla di confrontabile con quanto sta facendo ora il tira e molla politico in Europa sul salvataggio di Atene: nelle ultime due settimane lo spread è infatti raddoppiato, da 2.550 punti base del 5 settembre ai 5.986 attuali. L’incertezza politica e il rischio che il mancato accordo in Europa porti al default, ha fatto mille danni più che i declassamenti del rating.

Si dirà: ovvio che il mercato sia in tensione, dato che la Grecia rischia il crack. Vero. Ma considerazioni simili si possono fare guardando ad altri Paesi. Per esempio, il Portogallo. Quando il 16 marzo Moody’s declassò di due voti Lisbona, lo spread tra i titoli di Stato locali e i Bund salì di soli 12 punti base (0,12%). Ma quando il 5 luglio la stessa Moody’s prese una decisione analoga, lo spread salì di 191 punti base in un solo giorno. Insomma: stessa decisione (declassamento di due gradini), reazioni diverse sui mercati. Per contro quando in Finlandia, il 18 aprile, vinse il partito nazionalista contrario al salvataggio del Portogallo, lo spread dei bond di Lisbona salì di 21 punti base. Questo significa che la reazione dei mercati dipende dal momento, dall’umore. Dal contesto. Il rating può essere un pretesto per le vendite, non la causa.