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 2011  settembre 21 Mercoledì calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 193 - IL CONTE A MILANO

Abbiamo dunque Cavour di nuovo presidente del Consiglio.

Venne Hudson col primo messaggio di lord Russell, il nuovo ministro degli Esteri: siamo d’accordo con le annessioni, ma, per carità, pace, pace, pace! Cavour rispose di sì. Allora Napoleone cominciò un’offensiva col giornale «La Patrie». Il giornale «La Patrie» si mise a dimostrare che per cultura, lingua, tradizioni Nizza e Savoia erano francesi. Gli inglesi erano fuori di sé.

Come andava la faccenda dell’Italia centrale?

Cavour aveva mandato una circolare a tutte le sedi diplomatiche: gli ambasciatori sappiano che nessuna persona seria crede ormai alla restaurazione dei vecchi sovrani nell’Italia centrale; poiché il congresso non si terrà, e Francia e Inghilterra sono alleate, la sola soluzione possibile consiste nell’annessione, di fatto già decisa da quei popoli. Sulla faccenda, inglesi e francesi avevano raggiunto un accordo fasullo, nel quale era stabilito che in Toscana e in Emilia (ormai si chiamava così, le Romagne facevano tutt’uno con i vecchi ducati) le assemblee votassero una seconda volta le annessioni.

Perché «fasullo»?

Quando si andava a scavare, si scopriva che gli inglesi non volevano sentir parlare di cessione della Savoia e i francesi erano ostilissimi all’annessione della Toscana. Dopo gli articoli sulla «Patrie», Napoleone mandò una lettera a Vittorio Emanuele: voi fate i plebisciti, se quelli votano per restare autonomi, non succede niente, ma se votano l’annessione al Regno di Sardegna, allora voglio Nizza e Savoia. Cowley, l’inglese di Parigi, convocato dal ministro degli Esteri Thouvenel, fu messo al corrente. Cavour, per capir bene, mandò Arese, che era un suo vecchio amico, a parlare con Napoleone. Quando si presentò, Napoleone disse che non voleva l’annessione della Toscana, no, a nessun costo. Cavour, informato, rispose: «Piuttosto siamo pronti a far la guerra da soli contro l’Austria».

Perché riteneva impossibile un intervento armato francese contro il Piemonte.

Napoleone un’arma di ricatto ce l’aveva, ed erano le truppe francesi di stanza in Lombardia. Il sottinteso di tutta la trattativa era: se non mi date retta, le ritiro e vi lascio in balìa di Vienna.

La cosa faceva paura a Cavour?

Per niente. Anzi: Cavour non ci credeva. A metà febbraio partirono per Milano. Con l’occasione del carnevale si celebrava la nascita del nuovo regno sardo-piemontese-lombardo. Un gran corteo di ministri, corpo diplomatico, giornalisti, salotti, dame.

Quanto ci voleva da Torino a Milano?

Un sei ore. Si passava per Vercelli, Novara, Magenta, i luoghi delle battaglie. A Magenta facevano vedere uno spiazzo: «Lì prima c’era una conca, adesso l’hanno riempita coi corpi dei soldati francesi». Sopra c’erano tre o quattro croci. Alle stazioni salivano ragazzini che vendevano cimeli bellici, punte di sciabola trovate sui luoghi della battaglia, aquile austriache, chepì. A Milano fu sensazionale. La «société» mise in mostra tutte le sue ricchezze. Perfino Lorenzo Valerio, il democratico, girava in pelliccia. C’era una gran voglia di festeggiamenti ufficiali, perché da anni, quando gli austriaci invitavano, nessuno accettava. Cavour andò ad abitare nella villa che aveva ospitato il principe Massimiliano. La serata più spettacolosa fu quella del ballo al Palazzo Reale. Aprirono il salone delle feste, che era chiuso dai tempi del principe Eugenio. Le dame dell’aristocrazia lombarda, splendide di diamanti, vennero presentate, una ad una, a Vittorio Emanuele. La cerimonia non finiva mai, a un certo punto si vide il re parlare, con una cert’aria severa, a monsieur Tourte, l’ambasciatore svizzero. Più tardi, Tourte raccontò che il sovrano gli aveva detto: «Ma voi vi divertite, amico mio? Io non ne posso più». Le dame afferravano Cavour, le eccitava che fosse così subdolo. Non si capì fino a che punto arrivasse il suo successo con le signorine, ma testimoni videro una mascherina che se lo portava via. Scrisse a Bianca: « Le Signore erano molto eleganti ed alcune riccamente vestite, ma bellezze poche e nessuna poi che gareggiar potesse con la Bianca ». Fece visita a Manzoni e lo scrittore gli disse la frase famosa: «Lei, conte, ha le due qualità che servono all’uomo politico, la prudenza e l’imprudenza». Andò a Brescia. Accoglienze magnifiche. «Troppo magnifiche», esclamò il generale Cialdini. Infatti ogni successo di Cavour indispettiva il re. Quando era tornato al governo, s’era preferito non fare illuminazioni, per non turbare Sua Maestà. La sera del 21 febbraio la società del casino offrì un ballo a Vittorio Emanuele. Durò fino alle due di notte. Al rientro il re e Cavour trovarono ad attenderli il barone Talleyrand, nuovo ministro di Francia. «Eccellenza» disse «ho notizie urgenti da Parigi». Rimasti soli, Talleyrand spiegò che l’imperatore avrebbe presto ritirato il contingente francese dalla Lombardia. Nello stesso tempo aveva dato ordine di riprendere le trattative su Nizza e Savoia. L’insieme era minaccioso, ma Cavour fece un sorriso. «Se gli inglesi avessero occupato Genova, non l’avrebbero certo lasciata tanto in fretta. Comunque, d’accordo, accogliamo con piacere la seconda parte del vostro messaggio, l’imperatore tiene così tanto alla Savoia e a quell’infelice Nizza!».