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 2011  settembre 21 Mercoledì calendario

LAUREARSI IN CINA CONVIENE


Faccio una follia: vado a studiare in Cina. E la chiami follia? Da pazzi è restare in Italia, dove il costo per un master metterebbe ko perfino Mohammed Alì. I corsi post laurea legati alle facoltà di “primo livello” (ingegneria, economia, giurisprudenza) costano in media migliaia di euro, e se parliamo dei master non strettamente legati al percorso di studi – ad esempio le scuole di giornalismo – le cifre oscillano tra i 3.500 e i 10 mila euro all’anno.
In Cina, invece, spendendo poco più della stessa cifra di partenza (3.600 euro) ci si iscrive all’università e in un anno si impara la lingua. Vuol dire che dopo un anno le quotazioni dello studente sul mercato del lavoro aumentano in maniera esponenziale fino al conseguimento del titolo di studio.
Se immaginate istituti arretrati e impolverati, vi sbagliate di grosso. A confermarlo è Giancarla, madre di Elena, studentessa milanese che ha deciso di partire per l’Oriente, precisamente per il Sisu, acronimo di Shanghai International Study University. La terza università di Shanghai, eppure…
«Eppure sembra il paradiso terrestre. Un campus tanto grande da fare invidia a una cittadella. Un mondo a parte con studenti di tutto il mondo, e la stessa atmosfera che troveresti in città occidentali come New York. Certo, sarà difficile passare il week end in famiglia, ma c’è Internet». Ogni anno gli atenei cinesi scalano la classifica delle migliori università del mondo: nel 2004 erano nove, nel 2010 ben venti. La pubblicità più efficace è fornita dai risultati post laurea degli studenti. Significativo lo studio della China University Alumni Association, che si è domandata quali università producono il maggior numero di futuri milionari. Ha preso 2.500 laureati – per lo più in ingegneria e materie scientifiche – apparsi su cinque liste dei cinesi più ricchi in patria e all’estero. Tra chi dichiara un reddito di un miliardo di yuan (oltre 108 milioni di euro) è emerso che ben 79 hanno frequentato l’Università di Pechino, 70 la Tsinghua University di Pechino, 66 la Zhejiang University, 46 la Fudan University di Shanghai. E a Shanghai è finita Elena.
«Per gli studenti stranieri è previsto un corso di un anno per imparare il cinese. È il corso più caro, ma il costo è comunque inferiore ad altri master di questo tipo in Italia. E alla fine consegnano un attestato ». Consiste in 36 ore a settimana di lezione, al termine delle quali si parla perfettamente la lingua e si può sostenere l’esame di ammissione per qualsiasi altra università cinese.
«Un semestre costa 9000 yuan (circa 1000 euro), più novemila per il corso e altrettanti per la camera. 3600 euro all’anno tutto compreso». Gli stranieri hanno bagno in camera, wifi, televisione, aria condizionata. Una camera doppia costa 2000 yuan (circa 200 euro) al mese, mentre la singola 3000. Potrebbe sembrare una miseria ma in Cina corrisponde allo stipendio mensile di un operaio. «Cambiano le lenzuola e puliscono come in hotel. Ci sono palestre di ogni genere, campi da tennis, piscine. Da non credere». Per gli studenti cinesi però la vita è diversa. Vivono in camerate da sei, hanno un solo bagno per ogni piano; insomma, quasi vita da campeggio. «La mensa fornisce tre pasti al giorno: con otto yuan (90 centesimi) si mangia. Alle 8 del mattino sono in aula e prima delle lezioni ci incontriamo all’ingresso per fare tai-chi». Come in Italia. Ma parliamo di differenze. «In due ore», racconta Giancarla, «mia figlia ha completato l’iscrizione (dopo la pre-iscrizione online), aperto un conto in banca, visto gli alloggi del campus e scelto la sua camera, che condivide con un’altra italiana. Cercano di abbinare studenti della stessa nazione, così da attenuare lo spaesamento iniziale». In Italia, in due ore, capisci a stento qual è lo sportello a cui presentare l’istanza. «Ha un amico cinese che ha deciso di studiare da noi. In quindici giorni non è ancora riuscito ad aprire un conto corrente. E dire che lei ha ottenuto il permesso di soggiorno il giorno dopo l’arrivo semplicemente presentandosi in questura».
Viene voglia di farla davvero questa follia. E bisogna anche sbrigarsi, perché la carta della lingua cinese si sta inflazionando. La colpa non è degli occidentali che vanno a studiare lì, ma dell’esercito di laureati con gli occhi a mandorla che partono per il mondo. Basta un dato per tremare: nel 2008 la Cina ha sfornato 600 mila ingegneri.

Salvatore Garzillo