Daniele Zappalà, Avvenire 21/9/2011, 21 settembre 2011
AFRICA, «L’INVASIONE CINESE NON HA PORTATO CRESCITA»
La Cina prosegue la propria corsa alla conquista dell’Africa e delle sue risorse, ma le speranze di sviluppo legate all’arrivo dell’“alleato cinese” tardano a concretizzarsi. È il messaggio saliente del rapporto intitolato «La Cina e l’Africa: un nuovo partneriato per lo sviluppo?», pubblicato ieri dalla Banca africana per lo sviluppo (Adb). Si tratta di una radiografia inedita tanto per il dettaglio dell’analisi, quanto per il punto di vista. Ai timori spesso espressi nei commenti occidentali, l’Adb ha cercato di contrapporre un approccio il più possibile agganciato ai dati.
Nonostante le promesse di Pechino, «la relazione commerciale e d’investimento fra la Cina e l’Africa è squilibrata», analizza il rapporto. Si tratta di uno squilibrio che non riguarda tanto il volume degli scambi commerciali, sostanzialmente bilanciato, ma la loro qualità. L’Adb sottolinea in particolare che «circa il 70% delle esportazioni africane verso la Cina provengono da Angola, Sudafrica, Sudan e Repubblica democratica del Congo, e le materie prime (petrolio, rame, cobalto e cotone) sono fortemente predominanti».
Il caso dell’Angola è particolarmente eloquente. Si tratta del Paese africano con il maggiore eccedente commerciale nei confronti della Cina, ma dai porti angolani prendono la rotta per l’Asia solo navi petroliere. In altri termini, l’arrivo degl’investimenti asiatici non ha contribuito per il momento a differenziare l’economia angolana, ma l’ha anzi resa ancor più dipendente verso le esportazioni di greggio, con tutti gli effetti boomerang che ciò comporta: dalla “sindrome olandese” fino alla proliferazione della corruzione.
I maggiori investimenti messi a segno da Pechino negli ultimi anni ruotano perlopiù attorno al settore estrattivo: oltre al petrolio angolano, il rame in Zambia, ancora il rame e il cobalto nella Repubblica democratica del Congo, il ferro in Liberia, così come nel Gabon. Quest’ultimo progetto, quello del sito minerario di Belinga, è fra i più controversi. Come ricorda il rapporto, è stato ritardato per «problemi di degrado dell’ambiente e di mancanza di trasparenza ».
I finanziamenti cinesi alle infrastrutture, nonostante qualche esempio positivo, paiono ancora insufficienti rispetto ai volumi di risorse captati da Pechino, talora sulla base di contratti dalle condizioni molto sbilanciate. Su quest’ultimo fronte, l’Adb ha di recente creato un meccanismo di accompagnamento degli Stati africani in negoziati complessi come quelli minerari. Per il momento, infatti, solo «il Sudafrica potrebbe rappresentare un’eccezione, avendo elaborato verso la Cina una strategia per fare in modo che i prodotti provenienti dalle sue risorse primarie e che saranno esportati siano maggiormente trasformati».
Un altro problema sottolineato nel rapporto è la crescente concorrenza delle esportazioni manifatturiere cinesi, in particolare quelle tessili, nei confronti delle produzioni locali africane.
In un’ottica positiva, l’Adb ritiene che esistono ancora ampi margini d’azione per riequilibrare le relazioni Africa-Cina. Ad esempio, attraverso scambi più equi nelle “Zone economiche speciali” volute dalla Cina in Africa, come quelle in Egitto ed Algeria. Nel 2008, fra l’altro, il volume dei flussi commerciali sino- africani (106 miliardi di dollari) restava inferiore al totale degli scambi ad esempio fra Cina e America latina. E si potrebbe decisamente far meglio pure sul fronte degli aiuti cinesi, ancora «non tanto importanti quanto quelli dei donatori tradizionali».