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 2011  settembre 20 Martedì calendario

Leggo che l’Italia possiede la terza riserva aurea del mondo: perché non se ne vende una parte e con il ricavato non si abbassa il nostro spaventoso debito pubblico? A chi obietta che non sarebbe una manovra strutturale, bensì una «una tantum» rispondo che pagare nei prossimi anni 20 o 30 miliardi di euro in meno di interessi, da destinare a crescita e innovazione, ci farebbe stare sicuramente meglio

Leggo che l’Italia possiede la terza riserva aurea del mondo: perché non se ne vende una parte e con il ricavato non si abbassa il nostro spaventoso debito pubblico? A chi obietta che non sarebbe una manovra strutturale, bensì una «una tantum» rispondo che pagare nei prossimi anni 20 o 30 miliardi di euro in meno di interessi, da destinare a crescita e innovazione, ci farebbe stare sicuramente meglio. Ma forse è un’idea bislacca (non sono un economista) alla quale i nostri politici hanno già pensato e che hanno accantonato. Tuttavia mi piacerebbe che mi spiegasse le ragioni che escluderebbero una tale soluzione. Carlo Struglia c.strugli@ gmail.com Noi abbiamo riserve auree di immenso valore, mi dicono a garanzia del debito, perché non venderne una parte solo per abbassare la nostra esposizione? Avremo meno oro, ma anche meno somme da rimborsare. Lionello Leoni lionello.leoni@alice.it Cari lettori, N e abbiamo già parlato qualche mese fa. Neppure io sono economista, ma credo che le ragioni siano soprattutto due. In primo luogo l’oro delle riserve appartiene alle banche, è iscritto nei loro bilanci, contribuisce alla loro credibilità internazionale. È vero che le banche centrali hanno quasi sempre uno statuto pubblico (non in Svizzera, tuttavia, dove quella della Confederazione è una società per azioni e distribuisce dividendi), ma la loro indipendenza è diventata negli ultimi decenni una sorta di inviolabile dogma delle democrazie occidentali ed è sancita nei trattati europei. Nessuna banca centrale di un Paese membro dell’Eurozona può disporre delle proprie riserve senza osservare procedure che coinvolgono la Banca Centrale Europea. La seconda ragione è più psicologica che razionale. È vero che i governi, all’occorrenza, potrebbero indurre le banche a mettere una parte delle riserve auree sul mercato. Ma il gesto verrebbe percepito come una drammatica ultima ratio e avrebbe il paradossale effetto di rendere ancora più grave, agli occhi del mondo, la crisi in cui il Paese si dibatte. In questi giorni abbiamo appreso dal nuovo governatore della Banca centrale libica che negli scorsi mesi, fra aprile e agosto, Gheddafi ha fatto vendere 29 tonnellate d’oro in monete e lingotti. Gli acquirenti erano mercanti tripolini, che hanno trasferito l’oro ai loro corrispondenti stranieri, e il denaro è servito a sostituire i proventi del petrolio e del gas, bloccati dalle sanzioni dell’Onu. Sembra che Gheddafi lo abbia usato soprattutto per pagare i salari dei dipendenti pubblici, ma anche per finanziare il conflitto. Se le riserve auree vengono generalmente vendute soltanto in circostanze così drammatiche, potete immaginare, cari lettori, che cosa accadrebbe il giorno in cui l’Italia decidesse di rinunciare a una parte del suo oro. Non escludo tuttavia che vi siano circostanze in cui le riserve auree possano eccezionalmente contribuire al risanamento dei conti del Paese. Quando il ministro dell’Economia del governo Prodi, fra il 2006 e il 2008, era Tommaso Padoa-Schioppa, il Parlamento approvò una risoluzione sulla possibilità di usare le riserve della Banca d’Italia a riduzione del debito pubblico in forme concordate con le autorità europee. La proposta fu molto criticata e non ebbe alcun seguito, ma Padoa-Schioppa, in una intervista a Stefano Lepri de La Stampa, disse che le «eccedenze» erano già state usate in altri Paesi e che «governo e Parlamento hanno pieno titolo a occuparsi di queste tematiche».