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 2011  settembre 20 Martedì calendario

BOB WILSON

Gli anni li compie in ottobre, ma per festeggiare i suoi atletici settant´anni sono già cominciati ricevimenti e spettacoli, a Berlino, a Parigi, a New York e ieri anche a Milano: alla Scala, per la prima del Ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi, di cui ha curato regia, scene e luci, i suoi adepti invitati a un party nel foyer del teatro, si aggiravano compunti, tra i busti dei grandi musicisti, ammirando la sua installazione profana, come non se ne erano mai viste in un luogo così solenne: sette grandi sedie tendenti al trono, di plexiglass trasparente percorso da luci al neon, prodotte su suo disegno dalla Kartell: considerate opere d´arte, di ognuna ne saranno riprodotte solo sette per collezionisti capricciosi. Si sa che Robert Wilson è stato ed è tutto: architetto, ballerino, regista, scenografo, autore teatrale, persino terapista, poi designer di luci e suono, scultore, tanto da aver vinto il Leone d´Oro alla Biennale d´arte di Venezia del 1993 con la sua opera d´arte Floor, un grande pavimento screpolato.
Perché un compleanno rappresentato da sedie?
«Sette, una per ogni decennio della mia vita. Avevo 8 anni quando mi portarono da uno zio che viveva come un eremita nel New Mexico, in una capanna che si era costruito da sè: dentro c´era un materasso, una coperta navajo e una sedia. A Natale, io vivevo allora nel Texas, ricevetti in regalo camicie a scacchi e pistole: e dallo zio, la famosa sedia, ma quando lo zio morì suo figlio la volle indietro. E da quel momento la sedia divenne il mio feticcio. Adesso ne possiedo centinaia delle più curiose, e le conservo nella galleria del Watermill Center a Long Island».
Robert Wilson è oggi un bell´uomo prestante ed elegante, ma da giovane era bellissimo, come nella fotografia che Mapplethorpe gli fece nel 1976, (vestito di nero, scarpe da ginnastica bianche e molti capelli neri) l´anno in cui, e lui aveva 35 anni, mise in scena, con musiche di Philip Glass, quell´ Einstein on the beach che mandò del tutto in frantumi il teatro tradizionale. Del resto The life and Times of Joseph Stalin, performance di 12 ore, aveva già imposto un nuovo tipo di spettacolo d´avanguardia, come quel KA MOUNTain allestito in cima a una montagna iraniana e della durata ininterrotta di sette giorni. Il tumulto culturale aveva raggiunto anche l´Italia creando una folla di nuovi spettatori in grado di inebriarsi della magia di un bel giovanotto solo sul palcoscenico in totale silenzio, che per sollevare una mano impiega 40 minuti, sottolineato da luci magistrali e qualche trillo di sega o fracasso di tamburo però d´autore. Nei decenni i suoi innamorati l´hanno seguito impavidi ovunque, incantati dall´immaginazione fiabesca e drammatica, dalla versatilità coraggiosa, dal potere incantatore. Black Rider. un´opera-cabaret composta con William S. Burroughs e Tom Waits, arivò nel 1993 al parigino Chatelet di Stephane Lissner che, diventato sovraintendente della Scala ha affidato a Wilson la trilogia di Monteverdi, L´orfeo nel 2009, L´incoronazione di Poppea nel 2012 e adesso Il ritorno di Ulisse in patria, direttore Rinaldo Alessandrini appassionato specialista di musica barocca. Il massimo divertimento non è assicurato trattandosi oltre che di musica secentesca (attualmente molto di moda), di un soggetto quasi filosofico: "L´Umana Fragilità soggetta al Tempo alla Fortuna e all´Amore (tre soprani e un basso), deplora la sua condizione mortale". Ma Wilson ne è entusiasta. «La musica di Monteverdi è molto moderna, pare nuova. Va oltre il suo tempo perché è piena di tempo. Quindi non c´è bisogno di modernizzarla, di metterci i nazisti o gli alieni: a me piacciono i costumi atemporali, semplici. Il vuoto si riempie con la luce da cui si ottiene tutto, in architettura, nella pittura, su un palcoscenico, perché è la luce a creare paesaggi, architetture, emozioni, sentimenti».
Molti suoi spettacoli originali si fondano sul prolungato silenzio, su movimenti lentissimi. C´è un pubblico che ne resta folgorato, altri si innervosiscono.
«Il silenzio può esprimere molto di più delle parole, la lentezza dà molto più senso al tempo, al corpo, quindi alla vita. E´ alla lentezza che devo tutto. Ero un ragazzino fortemente balbuziente, i miei genitori mi portarono da vari specialisti, ma non miglioravo. Ero davvero molto infelice, respinto dagli altri. A 17 anni ho conosciuto una insegnante di danza che mi ha imposto la lentezza: nei movimenti, ma soprattutto nella parola e nel pensiero. Dopo sei settimane in cui il mio corpo e il mio cervello avevano imparato a rifiutare la fretta, ero guarito».
Quale è il suo rapporto con Marina Abramovic, considerata la più grande artista della perfomance, anche lei Leone d´Oro della Biennale di Venezia del 1997?
«Mi ha affidato la regia del suo funerale, quando ci sarà. Una cosa complicata, perché vuole che sia fatto contemporaneamente a Belgrado, Amsterdam e New York, e che il suo corpo venga sepolto nelle tre città, non si sa come».
Ma Abramovic ha 65 anni, è ancora bella e pare in salute, tanto che nella retrospettiva a lei dedicata dal MoMa di New York, è riuscita a stare immobile e muta per 736 ore.
«Infatti come prova generale del funerale ha voluto che raccontassi la sua vita, mettendo in scena lei nel ruolo della madre cattiva che la pestava, e ha voluto come narratore Willem Defoe. Standing ovation naturalmente».
Lei ha fondato a Long Island il Watermill Center, un laboratorio di creatività e di incontri, una comunità globale aperta a chi crede nel potere salvifico dell´arte.
«Io sono stato molto fortunato, ho avuto tutto. Adesso è venuto il tempo per me di restituire quella fortuna, donando agli altri tutte le mie risorse, denaro, esperienza, entusiasmo, idee».