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 2011  settembre 20 Martedì calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 192 - IL RITORNO DEL CONTE

Dunque, abbiamo la sinistra democratica riunita nell’associazione «La Nazione Armata», che ha a capo Garibaldi. E la destra moderata - i cavouriani - che si riconosce nell’«Unione Liberale». Alla fine, perché non chiamarli partiti?

Mah. Forse. «La Nazione Armata» restò in vita cinque giorni. Il re s’era messo a dire che sarebbe riscoppiata la guerra. I giornali avevano ripreso le sue parole. Il mondo della diplomazia, quello del commercio s’erano allarmati. Quando comunicò che avrebbe nominato Garibaldi ispettore generale della Guardia Nazionale di Lombardia, La Marmora e Dabormida - che stavano con Cavour - andarono a protestare. Il re gli rispose a brutto muso che si dimettessero, per quello che gliene importava. La verità è che «La Nazione Armata» aveva raccolto pochissime adesioni. Vittorio Emanuele non voleva una crisi del ministero, questo lo avrebbe costretto a richiamare Cavour. Ebbe paura delle sue stesse parole. Convocò Garibaldi, lo persuase a rinunciare a tutto, sciolse la «Nazione Armata». Intanto era interessante quello che accadeva sul piano internazionale.

In che giorni siamo?

Verso la fine del 1859. Era uscito quell’opuscoletto - Le Pape et le Congrès - contro il potere temporale (ne abbiamo già parlato) Napoleone aveva licenziato l’austriacante Walewski e il suo amico La Tour d’Auvergne, che lo rappresentava a Torino. Al ministero degli Esteri era stato chiamato Thouvenel e a Torino era arrivato il barone Talleyrand. Soprattutto, Napoleone si stava riaccostando agli inglesi, i quali non sapevano, naturalmente, di Nizza e Savoia. La congiunzione Francia-Inghilterra era quella su cui aveva sempre puntato il conte. La politica delle annessioni nell’Italia centrale, la politica del conte, adesso era sicuramente vittoriosa.

Cedendo Nizza e Savoia, però.

Bastava informare l’imperatore che la cosa si poteva fare. Secondo Cavour il ministero non poteva essere rovesciato che dal Parlamento, dunque dopo le elezioni. Preannunciò a Dabormida una campagna dei suoi giornali per accelerare la fine dei pieni poteri e il momento del voto. Nello stesso tempo era chiaro che Rattazzi avrebbe tentato di rinviare quel momento il più possibile. Plon-Plon chiese che Cavour venisse a Parigi lo stesso per parlare con l’imperatore. Anche Russell, da Londra, fece sapere di voler vedere il conte. Il governo era d’accordo che partisse, ma il conte prima di muoversi chiese che venisse fissata la data delle elezioni. Ci furono vari scontri, col re e con Rattazzi. Infine accadde l’incidente che riportò il conte al potere.

Sentiamo.

Cavour stava da Hudson e il ministro inglese tentava di convincerlo a partire. Arrivò il generale Solaroli, allora Cavour gli ripetè a quali condizioni era disposto a incaricarsi della missione a Londra e a Parigi. E Solaroli: «Non ho memoria, signor conte, se potesse mettermi le condizioni per iscritto...». Cavour si mise a dettare. Hudson scriveva. Il foglietto era privo di firma, ma quando Solaroli lo portò a La Marmora e agli altri, questi riconobbero la calligrafia di Hudson e «vergogna!» gridarono «vergogna!, il rappresentante di un paese straniero vuole imporre la sua volontà al libero governo del re!». Corsero sdegnati da Vittorio Emanuele e presentarono le dimissioni. Il sovrano, trattandosi di una questione d’onore, non potè che accettarle.

Sono sorpreso dal numero di decisioni prese solo per questioni d’onore. A San Martino si facevano massacrare per una questione d’onore, l’Austria rinuncia al miliardo per una questione d’onore...

Fa bene lei a farsi impressionare da questi dettagli. Intanto però Vittorio era stato costretto a un passo per lui dolorosissimo. Annotò Castelli: « Il re ha pianto; Cavour gli ha promesso di non parlar più della Rosina ». Era il 16 gennaio 1860.

Che governo fece?

Non fu possibile convincere Jacini a prendere le Finanze. Non se la sentiva di perequare il sistema fiscale lombardo a quello piemontese. Cavour gli diede i Lavori pubblici. Diede ancora: l’Istruzione a Mamiani, la Guerra a Fanti (lasciandogli il comando dell’esercito dell’Italia centrale, una provocazione annessionista), le Finanze a Vegezzi, la Giustizia a Cassinis. Tenne per sé gli Esteri e l’Interno. L’Interno era destinato a Farini quando, dopo le annessioni, si fosse liberato del problema dell’Emilia. Molti si meravigliarono che Lanza non fosse stato confermato alla Pubblica Istruzione. «Ma lo sapevano che Lanza si compiaceva perché migliaia di ragazzi del Regno avrebbero girato la stessa pagina dello stesso libro alla stessa ora?». Spiegò che avrebbe messo Lanza alla presidenza della Camera in modo da contrastare Rattazzi. Aggiunse che con Rattazzi non aveva più niente da spartire. Un altro duro da convincere fu Massimo d’Azeglio, non voleva andare governatore a Milano per paura d’incontrare la moglie, la Luisa Blondel.

Primo problema?

Nizza e Savoia. Il re, quando aveva convocato Cavour per dargli l’incarico, lo aveva informato delle intenzioni dell’imperatore. Il conte aveva risposto: «Aspettiamo la proposta ufficiale, poi discuteremo i confini». Non c’era dubbio sul fatto che si dovesse cedere. Ma si doveva pur trattare.