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 2011  settembre 20 Martedì calendario

ARRIVANO I TURCHI

In apparenza è un piccolo annuncio che incuriosisce il mondo dell’informazione: Al Jazeera, più o meno Cnn araba, proprietà dell’emiro del Qatar, da 16 anni la più conosciuta e meno rispettosa verso le dittature che ha contribuito a far rotolare; Al Jazeera che da Londra parla in inglese apre una sede a Sarajevo per trasmettere il suo Tg in lingua turca. Istanbul è l’ultima tigre economica del continente, Pil che corre con passi cinesi: più dell’11 per cento nei primi mesi e anche se a fine anno rallenterà. Logica di mercato, nessuna novità, eppure è complicato immaginare sia questa la spiegazione. Perché Al Jazeera sta programmando altri canali in dieci lingue africane, continente protagonista del futuro, popolazione che triplicherà nel 2050, ma che oggi non può può far quadrare i bilanci con una pioggia di spot, sfinita com’è da miserie che raggiungono le nostre città. Se la Turchia vola, solo 77 milioni di persone ne parlano la lingua: dalla terra madre all’altra metà di Cipro, un po’ di Balcani, minoranze rumene, macedoni, Uzbekistan oltre all’esercito degli immigrati al lavoro in Germania. Vale la pena? Avventura sconsiderata o disegno politico: ma di chi? Proprietario di Al Jazeera è un monarca assoluto, padrone del paese e del petrolio e del gas che ne fanno la fortuna. I 370 mila abitanti (un quartiere di Roma) godono del reddito più alto del mondo: 12.830 dollari a persona. Ben consigliato, il sovrano prova a trasformare il piccolo paese in qualcosa di meno grottesco dei palazzoni che fanno fallire Dubai. Ma la prima idea è stata la tv che racconta la cronaca senza imbrogliare da Algeri a Sumatra. Al Jazeera nasce con l’irruenza del giornalismo d’assalto, notizie calde, nessun rispetto per le autocrazie pietrificate. Le quali si inquietano. Mubarak e Gheddafi spengono le antenne, il nuovo Iraq “democratico “ non ne vuol sapere, la Siria brucia la redazione di Damasco, e sono le telecamere di Al Jazeera a documentare le stragi dell’invasione di Israele a Gaza, operazione Piombo Fuso. Anche gli americani non ci stanno quando vanno in onda le loro stragi segrete. Poi le cose si aggiustano. I documenti di Wikileaks testimoniano che ispiratore delle moderazioni di Al Jazeera è Joseph Baron, ambasciatore Usa nel Qatar, forse amico dell’emiro. Nessuna censura: solo notizie sfumate o dimenticate quando imbarazzanti per Washington o per l’Arabia Saudita. L’annuncio della Tv in turco coincide con il protagonismo internazionale del presidente di Ankara, Erdogan, il quale incarna l’islam moderato che fa arrabbiare i Fratelli Musulmani d’Egitto e di ogni cultura integralista. Arriva a Tripoli da trionfatore annebbiando le visite di Cameron e Sarkozy. L’urgenza di sostituire Mubarak con un leader credibile, che non abiti nel Cairo ancora agitato, sposta l’attenzione degli Stati Uniti verso l’alleato fedele alla Nato, senza problemi economici, mediatore paziente perfino con l’Iran, insomma, garante di una stabilità sconosciuta ai leader delle due sponde. E per rafforzare il credito nel mondo arabo, fa il braccio di ferro con l’Israele della destra al governo fino a ieri tanto amato e alleato strategico dei militari di Istanbul. Respinto dall’Europa, Erdogan si insedia nel Mediterraneo con Al Jazeera al fianco e Washington alle spalle. Il calendario torna al 1956. L’Africa è lì: riparte la conquista per fermare l’avanzata cinese. E Al Jazeera la racconterà in arabo, inglese, turco e in 10 lingue africane.