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 2011  settembre 20 Martedì calendario

STIPENDI FERMI PER I RICERCATORI IN ATTESA DELLA RIFORMA GELMINI

Per avere qualche speranza di veder crescere il proprio stipendio, oggi congelato a quota 1.300 euro al mese, i 1.800 ricercatori universitari che hanno vinto i concorsi dal 2008 a oggi devono aspettare l’applicazione della riforma Gelmini. La revisione del loro «trattamento economico» è stata, infatti, inserita nella legge che ha cambiato gli ordinamenti universitari, e che ancora attende l’emanazione di molti dei circa 50 provvedimenti attuativi, dopo la polemica nata quando ci si è accorti che il blocco degli stipendi pubblici sancito dalla manovra «salva-deficit» del 2010 colpiva i docenti ai primi passi della carriera accademica con molta più durezza di quella riservata agli ordinari a fine carriera. La conferma è arrivata in Parlamento giovedì scorso dal sottosegretario all’Istruzione Giuseppe Pizza, che in risposta a un’interrogazione urgente presentata da Salvatore Vassallo (Pd) ha chiarito che non c’è alternativa. Il decreto attuativo che riscrive le regole stipendiali dei ricercatori, ha aggiunto Pizza, «risulta in fase di ultimazione».

Non resta che aspettare, dunque, per il gruppone dei ricercatori che sono saliti sull’ultimo treno del ruolo a tempo indeterminato, cancellato dalla stessa riforma Gelmini. Un migliaio di loro nei giorni scorsi ha messo la propria firma sotto una lettera indirizzata al Capo dello Stato e ai ministri Gelmini e Tremonti, oltre che ai rettori e al presidente del Consiglio universitario nazionale Andrea Lenzi, per chiedere di «rimediare almeno in parte a uno stipendio d’ingresso estremamente penalizzante».

I numeri sono chiari: lo stipendio mensile di un ricercatore «non confermato» (cioè a inizio carriera) viaggia intorno ai 1.300 euro al mese, nettamente inferiore alle cifre che si registrano negli altri grandi Paesi europei, ma già a partire dal secondo anno si rinforza perché viene parametrato (al 70%) a quello di un associato di pari anzianità. Proprio questo meccanismo è entrato nel congelamento generale degli stipendi pubblici sancito nel 2010, che per tre anni blocca incrementi automatici e scatti di anzianità in busta paga.

Proprio per l’architettura degli scatti, più pesanti per chi è a inizio carriera, all’università la misura colpisce di più chi guadagna di meno: alla fine del triennio, i mancati aumenti costano costano a un ordinario a fine carriera poco meno del 7% dello stipendio, mentre per un ricercatore all’inizio il conto è del 32,7%, oltre cinque volte tanto. Quando l’effetto "perverso" della manovra in ambito accademico si era chiarito (tutti i numeri sono stati mostrati sul Sole 24 Ore del 28 giugno 2010), si era accesa una polemica che aveva portato alla promessa di revisione della norma, per premiare in maniera selettiva almeno una parte dei ricercatori impigliati nel blocco.

Per passare ai fatti, però, non si può prescindere dal decreto attuativo della riforma Gelmini, anche perché lo stesso sottosegretario Pizza ha chiarito che non si può applicare ai ricercatori l’altro "salvacondotto", quello che permette agli aumenti legati alla «conferma» in ruolo (che arriva dopo tre anni) di aggirare il blocco in quanto non sono considerati «avanzamento di carriera» ma semplici conferme del ruolo già acquisito. Gli adeguamenti iniziali, quelli che collegano la busta paga a quella degli associati, sono invece «aumenti stipendiali», per cui non ammettono deroghe. Interpretazioni in punta di diritto, che ai giovani ricercatori rischiano di costare a regime 7mila euro abbondanti ogni anno, con una penalizzazione che si trascina fino alla pensione.