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 2011  settembre 20 Martedì calendario

NEL DISTRETTO DEL SALOTTO ITALIANI STIPENDIATI DAI CINESI

La Chinatown di Matera è invisibile. La loro presenza è data da piccoli particolari: panni stesi fuori dai capannoni dove lavorano, qualcuno che si reca a fare la spesa. Solitari e soprattutto taciturni. Sono loro i nuovi imprenditori dei divani. Non sono tantissimi, ma la loro presenza sul mercato si fa sentire. Lavorano in proprio e per conto terzi. A prezzi bassissimi. Soprattutto, assumono. Gli unici a farlo in questa zona (a Matera si calcola che viva una comunità di 2.500 cinesi, ndr) che da quasi un decennio assiste inesorabilmente ad una desertificazione industriale, dovuta alla crisi del divano imbottito, core business del territorio. Dieci anni fa, appunto, calcola Tito Di Maggio, presidente del distretto del mobile imbottito di Matera, il distretto del divano a cavallo fra la Puglia e Basilicata occupava stabilmente circa 14mila persone, c’erano 500 aziende e 10 di queste avevano dimensioni medio grandi con un fatturato complessivo di 2,2 miliardi di euro.

Oggi i dipendenti non superano le 3.500 unità e la maggior parte lavora per la Natuzzi, che da sola fattura oltre 500 milioni. Il versante lucano, che dei 2,2 miliardi ne fatturava circa 800 milioni, oggi assiste ad un vero e proprio tracollo: solo 300 milioni con 56 aziende.

Sono questi i numeri che preoccupano tutti, perfino un colosso come Natuzzi. Migliaia di operai, anche specializzati, in cassa integrazione, contenti di esserlo perché arrotondano con il nero nelle aziende gestiste dai cinesi ma anche da italiani. «Qualche anno fa - dice Tito Di Maggio - nell’accordo di programma con il ministro Scajola proponemmo di dirottare i fondi per la cig alle aziende, le quali poi con un’integrazione avrebbero pagato lo stipendio. Questo avrebbe ridotto in maniera consistente il lavoro nero. Oggi, se si chiede ad un cassaintegrato di rientrare, il più delle volte la risposta è: perché proprio io?». In queste condizioni difficile capire quali tipo di futuro ci può essere. «Purtroppo, i cambiamenti andavano fatti quando tutto andava bene - afferma il Michele Capriati, economista, docente all’Università di Bari -. Bisognava creare servizi alle imprese e puntare su diversificazione e innovazione. La regione Puglia ha promosso il distretto, così come la Basilicata per Matera, ma i tanti progetti sono rimasti sulla carta. Era prevedibile che arrivassero i cinesi o produttori a basso costo. Qui c’è un problema di sistema non solo di aziende». Altamura, provincia di Bari, ma a due passi da Matera, anni fa la scelta l’ha fatta: pochi salottifici e molta industria della meccatronica. «La presenza dei cinesi - afferma Michele Campanelli dell’Ufficio provinciale del Lavoro - è sempre più preponderante. Abbiamo registrato un uso improprio dei contratti di lavoro, molti contratti atipici in realtà schermano rapporti a tempo indeterminato. Noi abbiamo fatto le nostre indagini, in genere una l’anno, e alcune di queste aziende sono state chiuse o sanzionate».

«Qui ci sono 7-8mila addetti che lavorano nelle aziende della zona - dice Silvano Penna della segreteria provinciale della Fillea Cgil - 2mila sono in cassa integrazione ma solo 600 a zero ore. Dalla cig prendono 700 euro e quasi tutti hanno un lavoro in nero. Li prendono perché hanno professionalità, sono un affare e costano poco. Questo stesso clima si respirava - aggiunge - molti anni fa a Martina Franca che erano la capitale del giubbotto imbottito. Arrivarono i cinesi, fecero saltare il mercato con prezzi bassissimi. Credo che in pochi - conclude Penna - si siano resi conto che il divano non è più il core business di questa zona della Murgia. E adesso il rischio che ci sia un’altra Martina Franca c’è, eccome».

Il declino qui ha la faccia di marchi importanti come Nicoletti o Calìa, la prima in amministrazione controllata, la seconda oggi composta da 19 società che si sono consorziate, in qualche modo hanno alzato bandiera bianca. Natuzzi resiste, ma ha un’altra dimensione, e comunque i tempi in cui fatturava oltre 800 milioni, sono lontani. Centinaia di piccole aziende, spesso a conduzione familiare, che per anni hanno lavorato e prodotto nel l’indotto dei grandi salottifici, con il sogno di diventare almeno medi a loro volta, hanno chiuso.