Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  agosto 03 Mercoledì calendario

INTERVISTA ALLA VENTURA

«Ho passato gli ultimi due anni in Rai a lottare, a difendere la gente che lavorava con me. Invece che guardare avanti, dovevo guardarmi le spalle».
Eppure, prima che lei scegliesse Sky, la Rai l’aveva già inserita nei palinsesti della prossima stagione: per l’undicesimo anno avrebbe condotto Quelli che il calcio. Perché andare via?
«Qualunque sia il prodotto, non mi accontento di ripetermi, di fare il compitino: io voglio creare. E nelle condizioni in cui ero, non avrei potuto rinnovare lavorando serenamente. Così non si impara nulla, si può solo regredire: no, grazie, non fa per me».

Il passaggio di Simona Ventura a Sky è il colpo di scena del mercato televisivo autunnale. La Tv italiana di Rupert Murdoch, che sta per raggiungere i 5 milioni di abbonati, ha firmato un contratto biennale con l’ormai ex conduttrice più forte della Rai.
«I love Miami», la scritta fluorescente sulla T-shirt che Simona indossa seduta sul divano di casa sua a Milano, è il preludio al servizio fotografico che vedete su queste pagine, dove gioca a fare la diva tra piscine e spiagge della Florida. Ma in questa intervista, la prima dopo il suo passaggio alla Pay Tv, ci sarà poco da scherzare. Vedrò, nel suo volto, solo tre momenti di dolcezza: quando entrerà in salotto Caterina, la piccola che ha in affido, per il bacio del buongiorno; quando arriverà Giacomo, il secondogenito avuto da Stefano Bettarini, anche lui con gli occhi stropicciati dal risveglio; e quando Simona parlerà della sua relazione - iniziata quasi un anno fa - con l’imprenditore Gian Gerolamo Carraro.
Per il resto, il suo atteggiamento si riassume in questa frase: «Sono una specie di cobra. Sto ferma, osservo e mordo al momento giusto. Siccome lavoro in silenzio, c’è chi pensa che io sia debole. Beh, si sbaglia alla grande».

Raidue perde la sua regina. Che cosa è andato storto, dopo 10 anni?
«La Rai offre grandi potenzialità, ma sempre meno libertà di movimento. È ogni anno più difficile, per chi ci lavora, mantenere la propria autonomia. Sono sempre stata una persona libera, dovevo dire grazie solo a chi ha creduto in me. Ma ultimamente non c’erano più le condizioni per questa libertà».
E quindi che cosa rischia, la sua ex rete?
«Di diventare un negozio senza clienti. Lei capisce che, se si fa festa per l’8% di share, allora siamo messi bene. Raidue ha perso la sua identità, il suo target giovanile, è andata a prendere il pubblico di Raiuno. E negli ultimi due anni è stata perpetrata, a danno della rete, una vergognosa desertificazione culturale».
Si spieghi meglio: ha subito condizionamenti politici?
«È utopistico pensare di poterne essere immuni, in un’azienda dove è la politica a fare le nomine. Ma i veri guai arrivano quando vengono imposte persone che non sanno fare questo lavoro. Un colore politico - anche se non è il mio caso, e infatti vengo amata e odiata in modo bipartisan - credo che in Tv lo si possa avere: ma bisogna avere anche la professionalità. Invece, piano piano, sono arrivati gli incapaci, e anche presuntuosi: servi della politica e niente più».
È sempre stato così?
«Assolutamente no. Quando sono arrivata in Rai da Mediaset, dieci anni fa, c’era un clima più equilibrato, la politica non era così ossessiva nei confronti dell’azienda, che non a caso creava di più e puntava sulla qualità. Per me il più grande direttore generale è stato Flavio Cattaneo, un manager moderno che aveva una priorità: i conti».
Lei non ha avuto aiuti dalla politica?
«No, perché non ho mai voluto un padrino, la forma mentale della raccomandazione mi fa schifo. La Rai si potrebbe fare con 9 dirigenti, invece che 54: il problema è che ci sono dirigenti capaci costretti a cercare protezioni per sopravvivere a quelli incapaci, che sono lì solo perché protetti».
Prima di fare la sua scelta ha parlato con Lorenza Lei, il nuovo direttore generale?
«Certo che le ho parlato. A Lorenza voglio bene: è la persona giusta in un momento di crisi, e ha fatto la miglior scelta possibile mettendo a dirigere Raidue, al posto di Liofredi, Pasquale D’Alessandro, un professionista fantastico, dalla cultura televisiva immensa, e lo posso dire perché ho lavorato con lui due anni. Ho parlato con lei, ho parlato con Antonio Marano, il vicedirettore generale, che era stato mio direttore a Raidue prima di Liofredi: anche a lui devo molto. Ma non potevo comunque più andare avanti così, non avrei imparato nulla».
Lei ha ancora voglia di imparare?
«Ce l’avrò sempre. Carlo Freccero, Fabrizio Del Noce, Antonio Marano sono stati direttori di rete che mi hanno insegnato qualcosa. Anche Massimo Ferrario, che sapeva di non avere una grande esperienza in fatto di Tv, è stato umile nel lasciarmi la possibilità di fare, seguendo le linee guida che lui aveva impostato. Un ragionamento onesto, rispettoso dei ruoli, che prevede ci sia fiducia in chi lavora con passione per il bene dell’azienda. Ecco, non saprei dire chi è stato il migliore tra i dirigenti con cui ho condiviso questi anni. In compenso non ho dubbi sul peggiore: Massimo Liofredi».
Direttore di Raidue dal 2009 a pochi giorni fa: quelli che lei ha chiamato i due anni di «desertificazione culturale». Perché il peggiore?
«Generally speaking, parlando in generale, se ho un direttore a lui devo rendere conto, con lui mi devo confrontare, e capisco che possa avere una visione diversa dalla mia. Altra cosa è che distrugga in modo certosino e vergognoso la mia autonomia e la mia voglia di creare e di rinnovarmi. Se uno è competente non si comporta così, piuttosto ti sfrutta, visto che sei il patrimonio della sua rete. Si poteva prendere i meriti del mio lavoro, lasciandomelo fare. Sarebbe stata una mossa più intelligente. Avevo ancora tanto da dare, non so fare solo Quelli che il calcio o L’isola dei famosi. E invece sono dieci anni che non faccio una seconda serata. Stavo morendo, dal punto di vista dell’entusiasmo. È arrivata Sky: un segno del destino».
Che motivo avrebbe avuto, Liofredi, per accanirsi su di lei?
«Non riusciva a gestirmi. Aveva capito che non gli avrei permesso di impormi personaggi indecenti, e comunque inadatti alle nostre trasmissioni. Se lo avessi lasciato fare, avrei distrutto venti anni di carriera in cui ho messo in gioco tutto: salute, famiglia e vita privata. Oggi non più, ma il lavoro per me è stato tutto».
Si dice che Liofredi non le abbia perdonato di aver ripreso severamente, durante una puntata dell’Isola dei famosi, Monica Setta, giornalista a lui vicina.
«La Setta è arrivata a Raidue facendosi scioccamente imporre: io ero lì da dieci anni. E in quell’occasione disse cose gravi - e non vere - sul passato di Aldo Busi: era mio dovere intervenire. Da quel momento le cose sono ulteriormente peggiorate, li ho avuti sempre addosso».
Un mese dopo il suo addio, Liofredi non è più direttore della rete: è stato trasferito a Rai Ragazzi, il canale per i bambini. E pare che, per questo, farà causa alla Rai per mobbing.
«La causa per mobbing avrei dovuto farla io per quello che ha fatto passare a me - ma non solo a me - in questi due anni, e per i colpi mortali che ha inferto al target di Raidue».
Ha perso anche Santoro.
«Per Michele, paradossalmente, avere la politica contro era un bene, gli dava forza, ma a un certo punto non ce l’ha fatta più: posso capirlo. Anche questa perdita fa parte della distruzione di una rete che ormai i giovani non guardano più. E quando spegni un canale un pezzo alla volta, poi riaccenderlo è un’impresa. D’Alessandro deve fare un miracolo, e forse è il solo che ci può riuscire».
A sentirla parlare, si direbbe che a viale Mazzini esista davvero la fantomatica «Struttura Delta» che affossa il servizio pubblico per favorire la concorrenza.
«Non ho mai avuto questa percezione. Però ho sempre preferito stare alla Rai di Milano, che ha maestranze stupende. Qui, con tutto il rispetto, dei sottosegretari non ce ne frega un granché».
Alla fine è arrivata la proposta di Sky. Un’ottima via d’uscita?
«No. Avevo già detto: “Se rimane Liofredi, non ci sto più”. Stavo addirittura meditando di prendermi un anno di pausa. La Rai non mi ha cacciato, sono io che non me la sentivo più. E Sky per me non è un ripiego, è una scelta d’innovazione».
Una scelta che, però, è audace: a Sky neanche un big come Fiorello è riuscito a sfondare.
«Non sono agitata per gli ascolti: i decoder aumentano, ma più di tanto non si può fare. Punto a un prodotto di qualità che abbia un riscontro di immagine, ancor prima che di audience».
È vero che ha già mangiato nella mensa aziendale?
«Certo. Credo nel gruppo, nella creatività che nasce dalla condivisione. Sono felice di lavorare in una struttura tecnologicamente all’avanguardia come Sky, di imparare al fianco di un grande come Giampiero Solari (consulente artistico della piattaforma, ndr). Avevo voglia di tornare a fare la spugna».
Sul suo nuovo compenso girano le voci più disparate: c’è chi parla di 200 mila euro, chi di un milione e mezzo a stagione.
«Dicano pure che guadagnerò 200 mila euro. Meglio così».
Per Sky farà spot pubblicitari, seguirà la notte degli Oscar, ma il suo primo incarico è X Factor, su Sky Uno. Perché ha preferito tornare a sedersi in giuria invece che condurre il programma?
«Il format dà molta importanza al ruolo dei giudici. Se avessi condotto io ci sarebbe stato il rischio di tradire lo spirito della trasmissione, spostando l’attenzione sul conduttore».
Condurrà Alessandro Cattelan, che ha già lavorato con lei a Quelli che il calcio.
«È uno di quei giovani, come Daniele Battaglia, che in Rai sono stati penalizzati proprio perché li ho lanciati io. E invece Cattelan è più bravo di Facchinetti».
Anche Facchinetti lo ha lanciato lei, però a lui, malgrado qualche flop, di occasioni ne continuano ad arrivare.
«Francesco è uno capace, ma si è un po’ smarrito. Succede: se hai successo da giovane, rischi di perdere la percezione delle tue reali possibilità, di non tenere i piedi per terra. Ora che sta per diventare padre, l’esperienza più bella che possa capitare a un uomo, gli auguro di ritrovare l’umiltà e l’entusiasmo di un tempo».
Con lei in giuria ci saranno Arisa, Elio e Morgan.
«Un quartetto delle meraviglie. Prometto che mi uscirà una certa cattiveria, ma anche Arisa vi sorprenderà: è un peperino di quelli pesanti. Con Morgan ho un rapporto perfetto: credo che abbia fisicamente paura di me, poi per lui rappresento la regola, quei paletti che non si devono superare. E mi divertirò a stuzzicare Elio».
Ha condotto per otto anni L’isola dei famosi: non le mancherà?
«L’isola è l’esempio migliore di come Raidue abbia boicottato se stessa. Obbligare un reality a chiudere prima di mezzanotte, senza che ce ne sia un vero motivo, significa solo rinunciare agli ascolti della seconda serata. Sarebbe stato più onesto dire che non si voleva più fare lo show. Invece lo si è voluto mandare in onda per poi penalizzarlo con continui cambi di giorno, scegliendo la stagione più sbagliata per la messa in onda. Una follia, dato che L’isola porta ricchezza in termini di pubblicità, sottraendola alla concorrenza».
Perché questo accanimento contro L’isola?
«È un prodotto magnifico che, se valorizzato a dovere come hanno fatto in Spagna, sbanca. Invece in Italia lo si tratta con snobismo. Eppure, malgrado tutti i bastoni che ci hanno messo tra le ruote, è andata bene anche l’ultima edizione. È andata bene perché mi sono buttata dall’elicottero in mare, e nuotato per raggiungere l’isola. L’ho fatto anche per me stessa, per dimostrare che non mollo mai finché la battaglia non è finita. Ed è stata una bellissima sensazione quando all’alba mi hanno detto che avevamo fatto il 20% di share».
Ilaria Dallatana, amministratore delegato di Magnolia, la società produttrice dell’Isola, ha detto che lo show può tornare in onda anche senza Simona Ventura.
«Magnolia non è certo un pozzo di gratitudine, ma io ci lavoro bene».
Pare che la conduzione potrebbe essere affidata a Caterina Balivo, al momento senza contratto. Pensa che possa funzionare?
«Credo di sì. Anche se, a mio modesto parere, la Balivo ha fatto un po’ troppo la furbetta del quartierino, e a furia di tirare la corda è rimasta con il cerino in mano. Però spero che trovi un posto di lavoro».
Pier Silvio Berlusconi le ha fatto gli auguri per questa nuova avventura. Poi però ha detto che Sky, investendo nell’intrattenimento, raschia il barile per qualche abbonato in più.
«A Sky ho rivisto la Mediaset di vent’anni fa, quella con l’entusiasmo e la voglia di capire. Ora anche Mediaset mi sembra smarrita. E fa effetto, perché un’azienda così - con una struttura dirigenziale di prim’ordine e autori eccellenti - potrebbe proporre programmi che non siano la riproposizione di quelli visti in Rai».
Lei a Mediaset ha lavorato 7 anni, e Pier Silvio non l’avrebbe dimenticata.
«Non si è mai fatto una ragione della mia decisione di andare in Rai. La verità è che, se avesse voluto trattenermi, avrebbe avuto tutte le carte per riuscirci. Ma ne ha fatto una questione di lesa maestà».
Il suo primo programma in Rai fu Quelli che il calcio.
«Praticamente un salto triplo nel vuoto, e senza rete. Raccoglievo l’eredità di Fabio Fazio, che aveva fatto benissimo. Mi sono rimboccata le maniche e ho continuato a rimboccarmele per dieci anni. Abbiamo intervistato i big del calcio, abbiamo portato gli ospiti internazionali - da Lady Gaga a Amy Winehouse, semisconosciuta nel 2004 -, abbiamo lanciato comici come Max Giusti, Lucia Ocone, valorizzato Maurizio Crozza e Gene Gnocchi, creato un gruppo di autori straordinari».
E poi?
«E poi, ci hanno tolto il sostegno della rete. Mi sono ritrovata a pagare di tasca mia il trucco dei comici Ubaldo Pantani e Virginia Raffaele. Mi consola l’idea che ora il weekend lo passerò con i miei figli».
Al suo posto, la Cabello. Che ne pensa?
«Quella di Victoria Cabello è una scelta originale, e molto giusta».
Ma lei non è un po’ troppo digiuna di calcio?
«Quelli che il calcio usa le partite come un pretesto per aggregare il pubblico. Si parla di pallone, ma per fare un buon prodotto è necessario allargare il campo. Se la Cabello ci riuscirà, può andare bene».
A proposito di calcio: il suo ex marito, Stefano Bettarini, è finito nell’inchiesta sulle scommesse illecite. E si professa innocente.
«Se una persona viene accusata, bisogna darle la possibilità di scagionarsi, meglio se succede in tempi rapidi: non la si può infangare e poi lasciar passare mesi prima di ascoltare la sua versione dei fatti. Detto questo, a Stefano vorrò sempre bene, ma il mio appoggio non è incondizionato. Spero sempre che si riesca nel nostro compito, che è quello di essere i migliori genitori possibili, sereni, ciascuno per la sua strada».
Lei la sua sembra averla trovata con Gian Gerolamo Carraro.
«È un uomo protettivo che mi ha fatto innamorare in modo quasi adolescenziale. Mi dà quella felicità che si prova una volta sola nella vita».
Mara Venier è la moglie di suo padre Nicola Carraro. Vi ha presentati lei?
«Sì, e ci siamo visti un paio di volte a cena a casa loro, ma non era successo nulla. L’amicizia, e l’amore, sono sbocciati dopo».
Guardando al passato, che cosa si rimprovera Simona Ventura?
«Forse l’errore più grande è stata la troppa generosità, che è stata scambiata per paura di perdere il posto. Alla Rai ho dato molto più di quello che ho ricevuto in cambio».
E quindi?
«Ora voglio brillare per la mia assenza».