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 2011  agosto 03 Mercoledì calendario

INTERVISTA EMILIO FEDE

L’unico direttore responsabile che lavora in vetrina passa per essere quello che ha più segreti inconfessabili da nascondere. Se s’infila le dita nel naso, lo vedono tutti. È già una condanna. «Ma no. La gente passa qui davanti, saluta, i bimbi mi fanno ciao con la manina e io rispondo con un sorriso».
Milano 2, Palazzo dei Cigni, sede del Tg4. L’ufficio di Emilio Fede è al piano terra; due vetrate affacciate sulle aiuole che Silvio Berlusconi ha fatto piantumare da sette giardinieri inviati da Villa San Martino di Arcore. «Mi disse: “Voglio che ti lustri gli occhi con qualcosa di allegro mentre lavori”». Nel tempo impiegato da un vigilante dell’Ivri per accorrere a controllare chi fossi, prima d’entrare avrei potuto sparargli. «Eh, ma con la coda dell’occhio l’avevo vista, sa?». Ha continuato a picchiettare imperturbabile sui tasti della sua Valentine rossa disegnata da Ettore Sottsass. «Quando Carlo De Benedetti, allora proprietario della Olivetti, seppe che m’ero privato della mia Lettera 22 per un’asta di beneficenza, fece prelevare questo esemplare che era esposto al Museum of modern art di New York e me lo consegnò».
Oggi non ha il mal di testa. Nel cassetto tiene un flacone fuori commercio da 100 compresse di Optalidon: «La Mipharm lo produce apposta per me». Alle sue spalle, un santino di padre Pio. E 27 fotografie. Con Aldous Huxley, Eugenio Montale e Italo Calvino: «Torino, 1962». Con Hailé Sélassié: «Ero l’unico giornalista che il Negus riceveva». Con Salvador Dalí: «Mi veniva a prendere all’aeroporto di Barcellona». Con Bettino Craxi: «Gli devo molto». Con Giovanni Paolo II che gli dà la comunione. In quattro scatti è col Cavaliere: «Qui taglia la torta per il mio compleanno nel castello di Paraggi, qui siamo sulla nave azzurra, qui...».
Mentre sta parlando, via Ansa gli arriva l’ennesima botta: indagato per concorso in bancarotta nell’inchiesta che ha portato in carcere Lele Mora. «Incredibile. Già durante le indagini sul caso Ruby ho dimostrato che Mora s’è limitato a restituirmi una somma avuta in prestito da me. Ho ricostruito nel dettaglio, documenti alla mano, qual era l’importo. Ho dato il consenso alle rogatorie in qualsiasi paese. Che altro devo fare? Non sono mai stato socio di Mora, non c’erano interessi in comune, a parte averlo avuto come agente al pari di tanti divi».
Erano amici, questo sì. E Fede non è certo tipo da rinnegare un legame d’affetto. «Neanche Lele. Gli ho mandato un telegramma nel carcere di Opera. E senta che cosa mi ha risposto proprio oggi: “Grande grande direttore. Spero che tutto si risolva in fretta e torni la serenità di un tempo. Qui è molto dura e difficile, ma Nostro Signore mi darà la forza di andare avanti”».
Dev’esser molto dura anche per lei.
Chiedo solo questo: che s’impedisca a un’informazione delinquenziale di usare le intercettazioni telefoniche per condannare un cittadino prim’ancora che si sia espressa la giustizia. Mi sono ritrovato indagato sui giornali con sette mesi d’anticipo rispetto all’avviso di garanzia. Non mi hanno ancora rinviato a giudizio. Forse i magistrati decideranno a ottobre se processarmi o no. Si può restare appesi per un anno alle congetture della stampa? «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Articolo 27 della Costituzione. Fui assunto in Rai da Enzo Biagi, che mi volle accanto a sé alla festa in diretta televisiva per i suoi 80 anni. Adesso sono io ad avere la stessa età. Quando risulterò innocente, chi mi restituirà l’onore? Sarà comunque troppo tardi.
Soffre tanto?
Sono turbato, ma determinato a tagliare il traguardo della verità. Ho la forza di un toro di Pamplona. Non si dovrebbe dire per scaramanzia, però sto benissimo. Ho smesso di fumare nel 1976, non bevo superalcolici, non mi sono mai drogato. Otto anni da inviato speciale in Africa devono avermi immunizzato.
A spese dei teleutenti. Era stato ribattezzato Sciupone l’Africano.
Non per le note spese al ristorante. Mi nutrivo solo di mango, papaia, ananas e qualche volta pesce. È stata la mia fortuna.
I suoi cinque nipoti come l’hanno presa?
Mi hanno mandato un sms: «Nonno, ti vogliamo bene». Ma il sostegno più forte è venuto da mia moglie Diana. Ha creduto alla mia verità e gira per strada a testa alta. Non ha mai disertato una seduta al Senato, neppure dopo essersi fratturata due vertebre in una brutta caduta. Ha ragione il presidente, che mi dice sempre: «Diana è la parte migliore della famiglia Fede».
Il presidente è Berlusconi.
Gli do del tu, ma non mi sono mai permesso di chiamarlo Silvio, neppure in privato.
Il clima al «Tg4» qual è?
Quello creato da un direttore che arriva alle 10, esce alle 21, mangia alla scrivania e va in soccorso di tutti, risolvendo i problemi, anche di salute. Però non m’illudo. Come m’insegnò Giovanni Spadolini, quand’era presidente del Consiglio e io dirigevo il Tg1, la riconoscenza non è che l’attesa di nuovi favori. Citava François de La Rochefoucauld, credo.
Non va in vacanza?
Mi piacerebbe portare Diana ad Anacapri, nella casa del nostro amore, acquistata con un mutuo quarantennale. Ma per scappare dalla mischia dovrei rifugiarmi in una baita dell’Engadina. In tutto il 2011 ho fatto quattro giorni di riposo. Mia moglie abita a Roma, la vedo una volta l’anno. Per stare a cena con lei ho noleggiato un aereo privato e sono tornato a Milano in nottata.
L’accusa della procura è pesante.
Lo sfruttamento della prostituzione, persino minorile, in concorso con Lele Mora e Nicole Minetti, a favore del premier? Quella non mi sfiora, perché ad Arcore non è mai accaduto nulla di sconveniente e non esiste una sola prova che dimostri il contrario.
E allora quale accusa le pesa?
Quella che mi sia intascato una parte dei soldi prestati da Berlusconi a Mora su mia sollecitazione. Lei saprà che l’industriale produttore dell’Amaro Giuliani mi ha preso a pugni senza motivo in un ristorante.
Sì, lo so, la ritiene all’origine della liaison fra la sua terza moglie e l’ex calciatore Stefano Bettarini. Ma che c’entra?
L’avvocato Massimo Dinoia, legale di Giovanni Germano Giuliani, aveva già preparato assegni circolari per un risarcimento di 500 mila euro, più 50 mila euro di spese legali, a condizione che firmassi una transazione per chiudere l’increscioso incidente. Ho rifiutato, scrivendogli che la mia dignità umana e professionale non ha prezzo. Stiamo parlando di un miliardo di vecchie lire. E le pare che sarei andato a sporcare per molto meno la mia amicizia con Berlusconi, che dura da quasi trent’anni?
Lo ha spiegato al premier?
Sono andato ad Arcore. Avevo con me estratti conto, situazione patrimoniale, tutto. Gli ho detto: presidente, ti pare possibile? Mi ha risposto: «Emilio, non ti permetto nemmeno di darmi una giustificazione. Se tu avessi avuto bisogno non di 400 mila euro, ma di 800 mila, so che me li avresti chiesti, con la certezza che ti avrei dato qualunque cifra, anche un milione». Non ho mai preteso aumenti dalla Mediaset. Mi sono sempre accontentato degli scatti d’anzianità contrattuali. E vivo del mio stipendio.
Quanto?
Sono 250 mila euro netti l’anno dal momento dell’assunzione, domenica 22 ottobre 1989.
Assunto di domenica?
Sì. Mi telefonò il Cavaliere, e io dove potevo trovarmi se non a Monte-Carlo a giocare al casinò? Alle 13 ero a pranzo da lui in via Rovani. A tavola sedeva anche Omar Sivori. Quel giorno il Milan giocava in casa contro la Roma. Ricordo d’aver pensato: se perde, crederà che il giornalista capitolino porti iella. Invece i rossoneri vinsero per 1 a 0.
A parte attribuirle il numero di cellulare di Mora in una trascrizione delle intercettazioni telefoniche, quali altri errori avrebbero commesso i magistrati?
Errori? Non c’è una sola verità in quelle 2 mila pagine che mi riguardano. Hanno frugato in ogni angolo della mia vita. Hanno registrato 1.600 telefonate, addirittura 400 col Punto Snai dove abitualmente scommetto sulle partite. Ma non v’è traccia di mie conversazioni con Karima El Mahroug.
Quante volte ha incontrato Ruby?
Solo due. La prima al concorso di bellezza di Letojanni. Stando alla Repubblica, mi confidò quale fosse il suo sogno e pochi mesi dopo incontrò Mora. Causa ed effetto. Capito come s’inganna il lettore?
No. Come?
Omettendo che il suo sogno, come ho spiegato ai magistrati, era quello di farsi una famiglia, avere un figlio e diventare carabiniere. La seconda volta la vidi alla festa di Arcore il 14 febbraio 2010. Stava già lì. Non so chi ce l’avesse portata. Fine dei contatti.
Indaffaratissimo com’è, che bisogno aveva di presiedere un concorso di bellezza in provincia di Messina?
Sono stato giurato anche a miss Italia e a miss Padania, se è per quello. Erano due anni che l’organizzatore Antonio Lo Presti m’invitava a Letojanni per premiarmi quale giornalista siciliano più famoso. La terza volta mi sembrava scortese rifiutare. M’è pure costato 8 mila euro per il volo privato Milano-Catania e ritorno.
Negli atti dell’inchiesta, Ruby sostiene che fu Fede a portarla ad Arcore la sera di San Valentino, con una limousine e la scorta armata dei carabinieri.
Un altro dettaglio pazzesco. I miei angeli custodi sono obbligati a registrare qualsiasi spostamento. Basterebbe consultarli per verificare che non è vero. E in ogni caso che reato sarebbe essere invitati a cena dal presidente del Consiglio, sentirlo cantare in francese o con l’accompagnamento di Mariano Apicella, vedere l’anteprima di film come Baaria prodotti dalla sua Medusa cinematografica, assistere ai filmati delle sue missioni internazionali?
E il bunga bunga?
Al momento del caffè, che si prendeva nella sala conferenze con tanto di podio al piano seminterrato, alcune invitate ballavano. Si chiacchierava. Berlusconi mi faceva portare del Montenegro con ghiaccio, il suo digestivo preferito. Appena girava lo sguardo, io nascondevo il bicchiere dietro la poltrona. E comunque dopo un po’ toglievo il disturbo, perché all’1.20 ho l’abitudine d’andare da Corrado, l’edicolante di piazzale Loreto, a comprarmi il Corriere della sera fresco di stampa.
Ma che bisogno c’era di usare quell’espressione ambigua, bunga bunga?
E che ne so? È una delle storielle preferite da Berlusconi. L’ha raccontata a tutti. Figura persino nel book di 1.340 barzellette raccolte dal suo fisioterapista, Giorgio...Giorgio...vattepalesca, chi se lo ricorda più.
Come spiega quella sua telefonata in cui informa Mariarosaria Rossi, deputata del Pdl, del suo imminente arrivo a Villa San Martino con due amiche e lei le risponde: «Quindi bunga bunga»?
Un modo innocente di scherzare. L’onorevole Rossi è una deliziosa, simpatica, intelligente collaboratrice del premier. Una parlamentare perbenissimo.
Poi c’è quell’altra intercettazione dove lei riferisce a Nicole Minetti d’aver dato 10 mila euro a una ragazza che aveva scattato delle foto col telefonino nella residenza di Arcore.
La privacy è sacra. Non si mettono in circolazione immagini carpite con la malafede nella casa dove abita il presidente del Consiglio. Neppure se sono innocue.
Che mi dice di Ambra Battilana, che s’è costituita parte civile nel processo?
È la prova vivente che quest’inchiesta è stata pilotata fin dall’inizio. Mi fu presentata da un consigliere provinciale piemontese del Pdl. Aspirava a fare la «meteorina» al Tg4. Aveva solo 19 anni e mi sembrava immatura per quel ruolo. Una sera andammo a una cena da Berlusconi. Lei era indisposta, cose di donne. Le servirono una camomilla e a mezzanotte e mezzo la riportai a casa sua, in viale Monza. Il giorno dopo m’inviò un sms per ringraziarmi. Passati sette mesi, mi telefonò: «Questa storia mi ha screditato, ho patito un danno d’immagine». Replicai: vuoi i soldini? E riattaccai. Dopodiché lei si presenta spontaneamente ai magistrati, e sottolineo spontaneamente, accompagnata dalla sua avvocata: una senatrice dell’Italia dei valori sposata con l’ex coordinatore del partito di Antonio Di Pietro in Piemonte.
Ma per far leggere le previsioni del tempo servono proprio le «meteorine»?
Sono due anni che non le cambio. Fosse ancora in vita il colonnello Edmondo Bernacca, lo assumerei subito. Ma di Bernacca in giro non ne vedo.
La Minetti sostiene che lei e Mora accompagnavate le aspiranti starlet ad Arcore.
La Minetti è troppo impegnata nel suo ruolo di consigliere regionale. Dev’essere rimasta vittima di un vuoto di memoria.
Non ha paura di finire in carcere?
Non ho l’età, come Gigliola Cinquetti.
L’ultima volta che l’ho intervistata fu nel secolo scorso, giugno 1999, per il suo 68° compleanno. E mi promise: «A 70 anni, il 24 giugno 2001, mollo». Ne sono passati altri dieci.
Come sempre ascolto i consigli di Berlusconi, che nella telefonata per gli 80 anni mi ha detto: «Non ti faccio neanche gli auguri perché ne dimostri 20 di meno».
Che cosa vede nel futuro del presidente del Consiglio?
Sta passando un momento difficile. Ma non si arrenderà mai. Ne uscirà pulito e nel 2013 il candidato premier del centrodestra sarà ancora lui, di questo sono sicuro.
Fosse stato nei suoi panni, c’è qualcosa che avrebbe o non avrebbe fatto?
Avrei evitato i cattivi consiglieri.
Ne ha?
Eh sì. Ma chi deve sapere come stanno le cose, sa. (Punta l’indice verso l’alto).
Non ha proprio nulla da rimproverarsi?
Nulla. Mi vanto d’aver tentato di proteggere il presidente dalla sua generosità, che qualche volta gli impediva di verificare bene chi si metteva in casa.
Che cosa l’ha ferita di più?
La violenza inutile di alcuni colleghi.
Faccia un nome.
Piero Colaprico, inviato della Repubblica. Gli ho telefonato e gli ho chiesto: ma perché quando scrivi di me non rifletti sugli aggettivi? Ne hai adoperato alcuni che io non userei mai parlando di te.
Comunque la si consideri, da questa vicenda il nobile sentimento chiamato amicizia esce piuttosto malconcio.
Hanno prevalso l’invidia, l’egoismo, la vigliaccheria. Persone che prima mi abbracciavano ora quando m’incrociano fingono di non conoscermi. Che pena mi fa questa società. Anzi, che schifo.
(stefano.lorenzetto@mondadori.it)